Cammina per strada come uno spettro spaventato, oppure furibondo, oppure triste, dimenticato. Con l’animo dipinto sulla faccia, ogni volta diverso, ogni volta in subbuglio.
Anche il suo coprirsi impazzisce e cambia. Con un caldo soffocante capita che la vedo passare con quello che resta di un pesante maglione di lana. Al collo ha pesanti collane oppure una sottile e lacera corda, Ha gonne vistose, oppure brandelli di lenzuola sporche e bucate. Ai piedi ha scarpe da soldato oppure stracci arrotolati alla meglio. La faccia è mascherata oppure malamente dipinta. E' magra, è quasi invisibile e sembra che le unghie delle mani abbiano ottenuto il permesso di crescere a dismisura.
Ho provato a seguirla, cammina silenziosa, assorta, concentrata nei suoi travestimenti. Ha un viso da cammello, ha mani come radici.
Sul ponte Risorgimento ha gli occhi dipinti di nero, la faccia è una confusa maschera di sangue, sulle gambe e le braccia scoperte sono disegnate così bene, a tale punto da sembrare vere, grandi ferite ancora sanguinanti, squarci. Le linee della bocca sono storte e martoriate come in un’ultima smorfia di dolore. I capelli sono dipinti male di un rosso cupo con qualche schizzo di celeste,sporchi e appiccicati da qualcosa che assomiglia a grumi di materia grigia esplosa, schizzata fuori dalla testa nello sforzo di dire una parola.
Quello che indossa è indistinguibile, stoffa lacera a strati, bucata e lercia, macchiata di una vernice rabbiosa. Cammina assorta in un foglio di giornale ciancicato, non vede nemmeno dove mettere i piedi. La donna dentro di lei è prigioniera di un altro essere.
Me la trovo addosso, non si sposta, mira dritta davanti a sè, una volta che mi è passata oltre, aprendo una voragine nel mio torace, con la coda dell’occhio mi accorgo che si gira, divarica le mascelle come quelle di un serpente e si esibisce in un sorriso muto. Lungo, interminabile, da far venire la pelle d'oca.
Forse adesso dalla bocca sputerà un suo doppio.
La incontro ancora, è seduta sulle scale della fontana di Piazza Trilussa, si sta dipingendo con un pennello una grande ferita intorno al collo. Dei relitti umani a poca distanza lei avrebbero intenzione di prenderla a calci.
Accanto a se alcuni barattoli di vernice e il solito foglio di giornale che resiste, nonostante tutto. Ogni tanto lo guarda e sembra piangere lacrime di vernice nera. Interrompe l'operazione di pittura e comincia a contorcere il corpo lentamente, le gambe salgono fino ad imprigionare la testa e le braccia si perdono e strisciano in quel groviglio come serpenti in amore. Un occhio spunta fuori da dietro un ginocchio. Si accorge di me.
Addosso a lei vedo il suo disappunto per essere stata scoperta e il mio imbarazzo per averla osservata. Si snoda e mi fissa.
Io muovo gli occhi e così fa anche lei, io vengo assalito da tremore nervoso e così anche lei, io faccio un passo in avanti chiamato dalla mia immagine riflessa e lei si alza e scende di uno scalino verso di me. Portiamo ambedue la mano a stringere il fianco, gli occhi di ambedue iniziano a lottare fra di loro.
Lei inarca il collo indietro per farmi vedere lo squarcio, la disgustosa ferita che si è appena dipinta, il collo che le sta per cadere.
Per togliermi da quella situazione accenno ad un sorriso, anche lei mi sembra che lo faccia, ma subito dopo la sua bocca dà spettacolo di se e si mostra in contorsioni da clown, gli occhi le girano strabici, dunque fa un passo indietro e si rimette a sedere e ricomincia a dipingersi, dimenticandosi di me.
Si fa avanti il giorno dopo, e la ritrovo ancora. Viene a sedersi vicino, nel bar che mi vede come un forzato tutte le mattine ad ingoiare il mio veleno indispensabile. Il bar che mi serve per non ricordare, per ammazzare definitivamente quello che resta di me.
Si siede facendo prima due giri su se stessa, si siede davanti all’unico tavolino pieno di tazzine sporche e resti di altre colazioni. Tiene stretta fra le braccia una bambola martoriata, senza braccia e con una gamba sola, uno degli occhi è vuoto e la la faccia è dipinta di bianco. Si siede e pare che non si accorga di me.
E’ vestita dei soliti suoi stracci dai colori morti, In testa ha un basco militare calato fino agli occhi. Fruga nelle tasche ed estrae un foglio di giornale, il solito. Lo sistema sul tavolo. Si gira verso di me per verificare che io la stia guardando, poi si mette a coccolare la sua bambola maciullata, forzando le lacrime dagli occhi imbrattati di rosso.
Per aumentare l'effetto della sua sofferenza prende dagli avanzi del tavolino un bicchiere d'acqua ancora pieno e se lo versa in faccia, abbarbicandosi agli occhi miei, poi, con le dita prende a scavare in un buco della stoffa della bambola. Adesso le tirerà fuori il cuore? Lo vorrei, ma non riesco ad infuriarmi, vorrei, ma non mi esce nemmeno la pena.
Devo chiederle qualcosa adesso. Ma, mentre decido che cosa, lei si alza delusa, e se ne va, lasciando il foglio di giornale ciancicato e pieno di quello che può sembrare sangue, sul tavolino. Leggo e fatico a crederci. La bambola la teneva stretta una bambina martoriata da una mina antiuomo, l'ho fotografata in mezzo alla polvere e il sangue.
Rileggo e sono ancora io l'autore della descrizione dell'inferno. I bambini e la guerra, il massacro vergognoso, con cifre, fotografie e tutti i dettagli. Sono io che ho addirittura dimenticato chi sono e come la penso. Io che mi sono perduto e annegato nel fondo di tutte quelle bottiglie di amaro. E quel foglio di giornale finirà calpestato, oppure qualcuno lo userà per i gabinetto, ma forse straziato dalle scarpe di un'intera città. Lo prendo e me lo metto in tasca, Cos'altro ho scritto, cos'altro ho pensato ?
Chiedo spiegazioni al cameriere.
Ma quale donna? Siamo alle solite. Il tavolino è vuoto, qui s'è seduto solamente un obeso rompiballe questa mattina presto...ma perché non ci dai un taglio a tutto questo alcool ? Donne così ne vedresti di meno -
Mi alzo di corsa per andarla a cercare. Rovisto fra le gambe e le schiene della gente che cammina verso di me, fra le automobili e i sederi, dietro gli alberi e contro i muri dei palazzi.
La trovo infondo ad una strada impegnata in una danza di guerra davanti a due turisti, che gli straccioni non li vogliono vedere perché loro non hanno tempo da perdere. La insultano e gridano, la spingono indietro. E mentre m'ingoio di corsa la strada lei si lascia cadere con un'allegra piroetta in un tombino aperto. Un tombino che prima non c'era. Ma chi è questo clown?
E' lo specchio degli orrori del mondo, è una memoria che riaffiora spietata. E' la mia storia distratta e avvelenata. E' un'altra possibilità. E' l'ultima rimasta.
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