E' difficile e meraviglioso vivere in questa città

giovedì 23 dicembre 2010

Dopo i cortei, in migliaia alla Sapienza Incontro con Napolitano, centro ancora blindato

Dal corteo principale che dalla tangenziale e la A24 è rientrato alla Sapienza ai liceali attestati al Gianicolo. Dopo ore di paralisi in tutta Roma est, il traffico si è normalizzato. Nessun "assedio" al ministero di viale Trastevere. "Siamo oltre 30mila" fanno sapere gli studenti mentre una loro delegazione è stata ricevuta dal presidente Napolitano. Alemanno: "Finora giornata positiva" ma il cuore della capitale resta sotto stretto monitoraggio.Gli slogan? "La prossima volta assaltiamo il cielo" e anche "Voi nella zona rossa, noi liberi nella città"
"Voi nella zona rossa, noi liberi nella città". E' lo slogan-manifesto di come si è svolta capitale la protesta degli studenti contro il ddl Gelmini. Cortei e sit-in sono stati a macchia di leopardo, ma tutti nelle aree periferiche e ora migliaia di studenti sono rientrati alla Sapienza dopo aver occupato pacificamente tutta Roma est, e sfilato anche lungo il tronchetto autostradale della A 24 e la via Tiburtina. La mobilitazione più scenografica, accompagnata anche da qualche applauso dalle finestre, è stata l'occupazione in tarda mattinata della Tangenziale Est.  Traffico paralizzato, ma ora via via si sta normalizzando. E gli studenti danno i numeri: "Siamo oltre 30 mila" . Una delegazione è stata ricevuta nel pomeriggio dal presidente Giorgio Napolitano.
"Il presidente della Repubblica ha detto di essere disposto ad esaminare le nostre alternative e proposte alla riforma Gelmini", ha detto uno degli studenti della delegazione che ha incontrato oggi il Capo dello Stato.
Ricevuti al Quirinale. A metà pomeriggio una dozzina di studenti universitari in rappresentanza di varie facoltà è entrata al Quirinale per essere ricevuta dal presidente della Repubblica. Scopo dell'incontro, illustrare i contenuti del messaggio fatto precedentemente recapitare al Capo dello Stato. Ieri le associazioni studentesche avevano esortato Napolitano a non firmare il ddl Gelmini.
I tre cortei della mattina. A Ostiense i circa 200 tra Cobas, studenti e lavoratori, hanno imboccato la stazione metro Piramide e si sono ritrovati nella città universitaria. Sulla Tuscolana, gli studenti di Roma Tre hanno bloccato il traffico, e al Gianicolo i medi hanno sfilato intorno al Fontanone e lungo la Passeggiata del Gianicolo. Stop alle auto, potevano transitare solo le ambulanze verso il Bambin Gesù. Stamani i liceali erano qualche centinaio con la mani dipinte di bianco e slogan come  "La vostra cultura è la forza, la nostra forza è la cultura". "Abbiamo dipinto le mani di bianco come simbolo di pace, contro le violenze della scorsa manifestazione che non ci appartengono" spiegavano gli studenti mentre intonavano cori di protesta. "Vorremmo arrivare davanti al ministero - spiega uno studente del Mamiani - ma non sappiamo se ci riusciremo perchè ci sono camionette ovunque". Nessuno degli studenti ha mai puntato verso la "zona rossa", rimasta deserta e immersa in un silenzio irreale.
I blocchi del traffico. "Ci scusiamo per il disagio" è stato questo lo slogan scandito al ritmo di battito delle mani dal corte degli studenti ha attraversato la Tangenziale, prima all'imbocco dell'A24. I manifestanti hanno camminato tra le auto bloccate. Applausi dagli automobilisti in coda, scesi per seguire la manifestazione.
"Lo vedi che succede a votà Silvio". E' uno degli slogan cantati nel sottopassaggio dell'A24 dai ragazzi. Alcuni studenti hanno acceso fumogeni e lanciato bombe carta sull'autostrada, occupando entrambe le carreggiate del tronchetto autostradale. Sui muri del sottopassaggio la scritta: "La prossima volta assaltiamo il cielo".
La zona rossa. Blindatura soft e atmosfera di attesa: si presenta così il centro di Roma, per ora neanche sfiorato dai tre cortei di studenti in occasione del voto al senato del ddl Gelmini. Pochi negozianti del centro per timore di danneggiamenti hanno scelto di non aprire. I blindati delle forze dell'ordine stazionano solo in prossimità dei palazzi delle istituzioni, in particolare vicino ai ministeri dell'Istruzione, dell'Economia e a Palazzo Madama. Mini pattuglie di uomini delle forze dell'ordine sono state dislocate lungo il centro, pronte a raggiungere zone di eventuali tensioni. Ma finora sono state con le braccia conserte.
Blitz. Itinerari a sorpresa, flash mob, azioni estemporanee e 'incursioni' creative al di là della 'zona rossa' centrale. La protesta, sempre lontana dai Palazzi, ora procede dentro La Sapienza. 

L'applauso all'operaio morto. Dal corteo sulla Tangenziale ed è partito un lungo applauso: così gli studenti hanno espresso la loro solidarietà alla famiglia dell'operaio morto in un incidente sul lavoro nella facolta di Scienze politiche, alla Sapienza. Al megafono uno dei ragazzi ha urlato: "Vergogna! Basta morti bianche! Solidarietà alla famiglia dell'operaio morto oggi su un'impalcatura della nostra facoltà". Stessa solidarietà dagli studenti-lavoratori che erano riuniti all'Ostiense
Alemanno: "Giornata positiva". "Fino a questo momento la giornata è trascorsa positivamente, senza nessun incidente. Possiamo tirare un sospiro di sollievo e possiamo dire che le brutte immagini del 'martedi' nerò di Roma non si sono ripetute". Lo ha detto il sindaco Alemanno, che ha aggiunto: "Ciò deriva dalla maggiore responsabilità che hanno dimostrato gli studenti e dalla grande professionalità dimostrata dalle forze dell'ordine che hanno attuato un sistema dissuasivo efficace e convincente che ha impedito nuovi incidenti e nuove provocazioni. Anche la scelta del Capo dello Stato di ricevere una delegazione di studenti è stata positiva perchè dimostra che c'è un terreno di dialogo se si rifiuta la violenza e si evita qualsiasi forma di illegalità".
Sotto piazzale Clodio. "Domani l'appuntamento è alle 9 a piazzale Clodio, davanti al Tribunale di Roma, per protestare contro il processo che si terrà nei confronti dei 23 arrestati durante la manifestazione del 14 dicembre scorso". Questo l'appello lanciato attraverso un megafono da uno degli organizzatori del corteo appena finito davanti alla stazione metro Piramide.

di VIOLA GIANNOLI, SARA GRATTOGGI, SIMONA CASALINI, GAIA SCORZA BARCELLONA e VALERIA PINI

sabato 27 novembre 2010

Assunzioni all'Atac

( La Repubblica) Assunzioni all'Atac, il sindaco chiede commissione d'inchiesta. Esplode il caso delle chiamate dirette all'azienda trasporti. Nel lungo elenco amici, mogli e parenti dei vertici della società. Alemanno sollecita un'indagine interna. Valeriani (Pd) annuncia un esposto alla Corte dei conti. Battaglia (Pd) invoca le dimissioni del primo cittadino.
Diventano un caso politico le assunzioni di parenti, mogli e amici all'Atac. Il primo ad intervenire è lo stesso sindaco. 'In relazione all'articolo pubblicato da Repubblica Roma relativo all'azienda Atac", si legge in una nota del Campidoglio riferita a presunte assunzioni clientelari nell'azienda di trasporto, "il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha dato mandato al nuovo amministratore delegato, Maurizio Basile, di procedere a un'inchiesta interna per verificare la veridicità di quanto pubblicato, controllando i criteri di assunzione che sono stati utilizzati dalle precedenti amministrazioni nell'ultimo decennio. I risultati di questa verifica saranno presentati dall'amministratore delegato entro massimo 15 giorni, adottando le iniziative conseguenti.
A gennaio sarà presentato il nuovo piano industriale di Atac attraverso il quale si garantirà il processo di riassetto dell'azienda di trasporto pubblico romano".
Nella vicenda interviene a gamba tesa il consigliere capitolino del Pd, Massimiliano Valeriani "E' incredibile il declino non solo Economico, ma anche morale delle aziende del gruppo Campidoglio oramai da due anni e mezzo. Dopo le note vicende in ama adesso è la volta di Atac le cui 800 e passa assunzioni hanno fatto lievitare di circa 50 milioni di euro i costi dell'azienda. Di questa triste vicenda l'aspetto più rilevante che sembra emergere è la fitta rete di parentopoli e affiliati politici fino alla nota di colore di una cubista molto nota nei locali notturni romani. Mi auguro che al più presto alemanno dica qualcosa. Tale situazione è così eclatante che sicuramente raccoglierà le attenzioni della Corte dei conti ed io stesso preparerò un esposto".
La richiesta di dimissioni. "La questione delle assunzioni atac colma ogni misura. In quindici anni le aziende comunali non hanno mai sfiorato il fallimento. Questo sindaco ci ha messo solo due anni e mezzo per portarle al tracollo. Il poltronificio di alemanno era già scandaloso, con personaggi inquietanti provenienti dalla galassia dell'estrema destra e figure intoccabili premiate con stipendi d'oro per non si sa bene cosa". Lo dichiara, in una nota, il consigliere provinciale del Pd, Pino Battaglia.
"Il punto è che non solo si assume massicciamente e in modo non trasparente ma si affidano a persone incompetenti posizioni dirigenziali e posti di comando- continua Battaglia- se, conseguenza prevedibile, questa gestione scellerata porta al rischio collasso aziende comunali dove lavorano migliaia di persone e la qualità del servizio è penosa, allora la soluzione non può essere che una: le dimissioni di un sindaco la cui amministrazione verrà ricordata come imbarazzante e triste pagina della storia di questa città".
Insulto ai romani Comincia ad essere chiara a tutti l'accezione che il centrodestra, e in particolare gli Alemanno boys, hanno del concetto di servizio pubblico: un luogo dove, a spese del 'pubblico', cioè tutti quanti noi, rendere un servizio a coniugi, parenti, figli, affini e conoscenti vari". Lo dichiara in una nota il segretario regionale dell'Italia dei Valori, Vincenzo Maruccio. 
"La risposta a tutti quelli che si chiedevano da dove venisse il deficit che sta portando l'Atac sull'orlo del fallimento, e in particolare a coloro che dai banchi della maggioranza comunale si sono affrettati a scaricare le colpe sulle giunte precedenti, è semplice: 854 assunzioni per chiamata diretta negli ultimi 2 anni, per un costo di 50 milioni di euro l´anno. E nella lista ci sono tutti: congiunti dei dirigenti Atac, amministratori vicini politicamente all'amministratore delegato Adalberto Bertucci, parenti degli assessori, persino una cubista promossa alla segreteria della direzione industriale - aggiunge - Un insulto a tutti i romani, coloro che usufruiscono di mezzi pubblici sempre più scadenti, coloro che hanno figli in cerca di occupazione, coloro che passano la vita a studiare e si vedono scavalcare nella ricerca di un impiego da persone che possono mettere nel curriculum solo le famigerate 'conoscenze'. Uno scandalo che non concede margini di difesa. Oltre ai vertici Atac dovrebbero rassegnare le dimissioni anche Alemanno e tutta la sua giunta".

mercoledì 24 novembre 2010

Roma Occulta - Malagrotta La Discarica Della Morte

Roma, scontri tra studenti e polizia

La scuola è a pezzi

(La Repubblica).Allarme di “Senza Tregua”
Il collettivo ha raccolto foto e segnalazioni degli studenti di 30 istituti della capitale a due anni dalla morte di Vito Scafidi, il ragazzo di Rivoli ucciso dal crollo del solaio del liceo Darwin. Il panorama è desolante: "Con i 358 milioni stanziati dal Miur, possibili solo 154 interventi sui 1330 necessari". Solo in tre edifici rispettato il tetto minimo di metri quadri a persona. In tutte le altre meno di 1,96 metri quadri a testa.
Vetri rotti, bagni inagibili, solai pericolanti: "La scuola è a pezzi". A dirlo è il collettivo Senza Tregua che per due mesi ha condotto una piccola inchiesta in 30 istituti della capitale (tra licei scientifici, classici, artistici e istituti tecnici), raccogliendo foto e segnalazioni degli studenti in tema di sicurezza e di edilizia scolastica, dal centro alla periferia.
"I finanziamenti del governo per l'edilizia scolastica - racconta Alessandro Mustillo, leader di Senza Tregua  -  sono sempre più insufficienti. E nel Lazio sono previsti, con i 358 milioni stanziati dal Miur, solo 154 interventi sui 1330 necessari". Una denuncia che è diventata un dossier che documenta, a due anni esatti dalla morte di Vito Scafidi, il ragazzo di Rivoli ucciso dal crollo del solaio del liceo Darwin, la situazione poco rassicurante delle scuole romane. "La Provincia ha fatto molto, quello che ci preoccupa di più sono le intenzioni dei ministri Gelmini e Tremonti che tagliano risorse fino a ridurre le classi a dei pollai invivibili, come accade oggi nel 10 per cento delle scuole romane". Solo in tre delle 30 scuole campione infatti (Giulio Cesare, Augusto e Istituto d'arte Roma Tre) è rispettato il tetto minimo di metri quadri per alunno. In tutte le altre ogni studente o docente ha meno di 1,96 metri quadri. Un problema non solo di sicurezza, ma anche di vivibilità. 
Nell'ultimo triennio la Provincia di Roma ha investito circa 136 milioni di euro per 267 interventi di edilizia scolastica già appaltati, e altri 120 milioni per un centinaio di lavori da realizzare nei prossimi mesi. Ma i problemi restano e dal Dante al Plauto, dal Talete al Socrate, ragazzi e prof convivono spesso con edifici insicuri e precari. "Chiediamo ai presidi - insistono gli studenti - di non far finta di niente ma di denunciare queste situazione. L'abbiamo detto due anni fa e lo ripetiamo oggi: di scuola non si può morire". Proprio con questo slogan il Collettivo Senza Tregua ha manifestato stamattina davanti a Montecitorio per chiedere un piano decennale che risolva il problema dell'edilizia scolastica.
Ecco gli istituti romani che sono stati monitorati dal collettivo Senza tregua. Anche le foto sono state fatte dai ragazzi: 
Armellini - Dante Alighieri - Falcone - Fermi - Gullace - Istituto d'Arte Roma II - Istituto d'Arte Roma III - Lattanzio, Levi Civita, Di Vittorio - Machiavelli - Liceo Mafai - Neumann - Nomentano - Pasteur - Peano - Plauto - Righi - Sibilla Aleramo - Socrate - Tacito - Vespucci - Visconti - Virginia Woolf

di VIOLA GIANNOLI

martedì 23 novembre 2010

Addio alla latteria "comunista"

(La Repubblica)Roma. Il bar di Vezio chiude per sempre, cala il sipario sullo storico locale che da Botteghe Oscure si era trasferito in via Tor di Nona. Per decenni ha conservato cimeli e ricordi della storia del Pci, dei suoi leader e dei suoi militanti. Il proprietario è malato e in difficoltà economiche, appello di un volontario che lo assiste.
Nessuno è passato per Botteghe Oscure senza fermarsi, prima o dopo, da lui. Chiunque, negli anni gloriosi del Pci, si sia recato nella sede storica del partito, sicuramente ha preso un caffè al bar di Vezio, via dei Delfini 23, davanti a piazza Margana, alle spalle del "Bottegone", come i frequentatori chiamavano affettuosamente la sede del Partito comunista italiano. Un museo, non un semplice bar. Che per decenni ha conservato l'amarcord del partito. Foto e bandiere, manifesti e locandine, autografi e dediche. Ebbene, non solo quel bar non c'è più dopo un'ordinanza che lo ha sfrattato dal locale dove Vezio Bagazzini lavorava dal 1969, nonostante l'impegno del Comune a dichiararlo "locale di interesse storico". Adesso non c'è più nemmeno il nuovo bar, quello riaperto nel 2003 in via Tor di Nona e lui, 68 anni, il proprietario-custode di tanti ricordi, versa in pessime condizioni economiche e di salute.
A raccontare gli ultimi sviluppi della vicenda è Alessandro Di Leginio, un assistente penitenziario che, da un mese circa, volontariamente, si prende cura di Vezio, dopo la separazione anche dalla seconda moglie che tuttavia continua a rimanergli costantemente accanto. "E' affetto da morbo di Parkinson, diabete e ha serie difficoltà economiche. Io vado a casa sua - racconta l'uomo - ma dev'essere aiutato, non ha nemmeno la pensione. Sto facendo il giro degli uffici per cercare di fargliela ottenere". Per tutte queste ragioni, Vezio ha dovuto chiudere il bar
di Tor di Nona, lo scorso 13 novembre.
"Non ce la faceva più - spiega ancora Di Leginio - mi ha anche raccontato di prepotenze e furti subìti da alcune persone e lui ha deciso di chiudere l'attività. L'altro giorno sono andato nel locale per recuperare foto e manifesti ma ho dovuto prima avvertire i carabinieri perché il bar, da tempo, è frequentato da persone che hanno approfittato di lui". Alla chiusura della storica latteria - questo era quando aprì, nel 1911 - era stato anche dedicato un ducumentario, Il trasloco del bar di Vezio di Mariangela Barbanente, andato in onda su Sky Planet nel 2005, con le testimonianze di parlamentari, artisti, militanti.
Fino a pochi giorni fa lo si vedeva ancora, ogni tanto, passeggiare per Trastevere, zoppicante e malconcio, sempre però con gli occhi vivaci e la voglia di chiacchierare, sebbene la parola ormai per lui fosse diventata capricciosa. Adesso, le condizioni di Vezio peggiorano di giorno in giorno. Viene da chiedersi che ne sarà di lui, e di quella raccolta di cimeli che ai visitatori del bar hanno illustrato momenti storici e attimi della vita quotidiana del Pci. Le foto dello stesso Vezio con Di Vittorio o con Enrico Berlunguer (il suo grande amore), quella di Roberto Benigni che prende in braccio Berlinguer, le tante matrioske che chi tornava da Mosca era praticamente obbligato a portare come souvenir, le tessere del partito, la foto - con dedica - di Pasolini alla macchina da scrivere, le centinaia di biglietti con dedica scritti da chi si appoggiava al bancone per un maritozzo e un cappuccino.
Un luogo di profonda malinconia, dove bastava una semplice richiesta perché si aprisse un database di aneddoti e citazioni - ma mai pettegolezzi, banditi dalla comunistissima etica del barista. Al massimo le preferenze "da bancone", chi il caffè e chi il decaffeinato, ma non era quello che a Vezio interessava, né ai suoi avventori affamati di maritozzi e di curiosità, ai quali dispensava perle di nostalgia fra le bandiere rosse attaccate a ogni parete o penzolanti dal soffitto.
Un locale piccolo piccolo, parete a sinistra e bancone a destra, dove la memoria era costretta a stratificarsi perché non c'era più un angolo libero. L'arazzo con il ritratto di Dimitrov, il numero due ai tempi di Stalin. E poi le tantissime foto, alcune con dedica, altre in un bianco e nero ingiallito: Togliatti, Longo, Secchia, Pajetta e Amendola, Mao e Gianmaria Volontè, e ancora Berlinguer ritratto accanto a Claudio Villa, Pio La Torre e Stalin, D'Alema a bordo dell'Ikarus, Guevara con Fidel, e poi i ricordi di chi, passando da quelle parti, aveva voluto a tutti i costi una foto con lui, da Ursula Andress a Raz Degan.
"Uno spaccato della storia politica, sociale e culturale della città", come dissero gli "Amici del bar di Vezio", gruppo nato dalla mobilitazione contro lo sfratto da via dei Delfini. Un posto dove, pure, nascevano improbabili cameratismi. Come quando, dopo le manifestazioni degli anni Settanta, anche i poliziotti si andavano a riposare e a bere qualcosa. E magari tiravano quattro calci a un pallone insieme ai "compagni della vigilanza", gli omaccioni che come cerberi controllavano l'ingresso del Bottegone e si occupavano dell'incolumità dei leader del partito. Lo raccontò lo stesso Vezio, tanti anni fa: "I celerini, prima correvano dietro ai compagni, poi quando avevano finito, si venivano a fare una partitella qui in piazza e si prendevano un caffè. Io li facevo entrare, ma patti chiari: gli dicevo 'prima vi levate la pistola e la lasciate all'ingresso', come nei saloon".

di ALESSANDRA VITALI

lunedì 22 novembre 2010

Rischio piena per il Tevere

(La Repubblica) Il fiume esonda nel Viterbese. Sale il livello dell'acqua che ha superato le banchine. La Protezione civile: "Crescerà ancora". Alemanno: "Non ci saranno problemi". Decine di chiamate ai vigili del fuoco per gli allagamenti nella Capitale. Molti problemi tra Orte e Gallese Scalo
"Una piena con un colmo di quasi 10 metri a Ripetta intorno alla mezzanotte". E' l'allarme lanciato dalla Protezione civile, impegnata a monitorare i livelli del Tevere, dopo la pioggia incessante delle ultime 48 ore. Intanto il fiume è uscito dagli argini tra Orte e Gallese Scalo, in provincia di Viterbo. Allagamenti si sono verificati anche sulla costa, a Montalto Marina.
L'allerta. "Il Tevere - spiega Tommaso Profeta, vicecapo di Gabinetto e direttore della Protezione civile di Roma Capitale - è arrivato a 7,15 metri. L'acqua ha superato le banchine ed è previsto un ulteriore innalzamento nelle prossime ore". E il sindaco rassicura: "Ho sentito la Protezione civile, si attende una piccola piena del Tevere, ma non è assolutamente pericolosa", ha detto Gianni Alemanno. "Il massimo che può accadere - ha spiegato - è che l'acqua possa raggiungere il livello delle banchine inferiori. Nessuno straripamento e nessun pericolo".
La nuova ondata di maltempo ha causato allagamenti in numerose zone della città. In città numerose le chiamate ai pompieri al centro storico, per soffitte e piani terra allagati, e al Tuscolano.
Dalle prime ore del mattino, proseguendo il lavoro della notte, le pattuglie delle volanti e gli operatori della Squadra nautica della Questura stanno controllando il lungotevere, per verificare la presenza di giacigli e di senza fissa dimora. In campo 4 natanti, 10 volanti e altri 4 equipaggi a bordo di fuoristrada. Monitorati anche i ponti sotto i quali scorrono le acque del fiume e le aree golenali. Controlli anche nelle aree prossime agli argini lungo le piste ciclabili. In campo anche il Reparto Volo della Polizia di Stato per monitorare dall'alto anche le aree più periferiche, da dove provengono gli affluenti del fiume capitolino.
Decine le chiamate arrivate ai vigili del fuoco che sono intervenuti per liberare le strade da alberi e rami caduti, per allagamenti di sottopassi stradali, soffitte e cantine. Per allagamento è stato chiuso il sottovia sulla Salaria di via dei Prati Fiscali. La Protezione civile del Campidoglio, a causa delle numerose chiamate, ha messo in campo un numero maggiore di volontari.
In via dell'Anagnina gli agenti delle volanti sono intervenuti anche per un cartellone pubblicitario, mentre il sottopassaggio nei pressi della Basilica di San Paolo è risultato completamente allagato. Altri allagamenti si sono verificati presso le stazioni metro di via Tiburtina e della Nomentana. Nel corso della giornata di ieri sono state registrati anche alcuni black-out elettrici in zona centro e, in particolare, in via Biancamano.
Fuori Roma. Le zone più colpite nei dintorni di Roma sono quelle di Montelanico, Marino, Frascati, Velletri, Palestrina, Tivoli e Pomezia. Nel viterbese, tra Orte e Gallese Scalo, il Tevere, ingrossato dall'onda di piena, ha invaso numerosi ettari di terreno, arrivando a lambire alcune abitazioni. Il livello del fiume, secondo la Protezione Civile della Regione Lazio ha raggiunto i 6,40 metri all'idrometro di Orte. Alcune persone sono rimaste bloccate in casa. Un uomo, che doveva ricoverarsi in ospedale è stato soccorso dai vigili del fuoco.
Un gregge di pecore è rimasto imprigionato nell'acqua e nel fango. Un elicottero dei vigili del fuoco di Viterbo sta sorvolando l'area allagata dal Tevere per individuare gli animali rimasti impantanati e portarli in salvo.
Vigili del fuoco e Protezione civile sono in azione anche sul litorale, in particolare a Montalto Marina, dove si sono verificati diversi allagamenti. Un uomo che si era sentito male in casa e non riusciva ad uscire dall'abitazione perché l'accesso era completamente bloccato dall'acqua piovana, è stato soccorso dalla Protezione civile.

venerdì 19 novembre 2010

Dal Mamiani al Visconti, ecco tutti i licei occupati

(La Repubblica) Sono in tutto sei gli istituti coinvolti.Un "no" secco alla riforma Gelmini e ai tagli di 8 miliardi di euro che penalizzano la scuola pubblica. Si aggiungono le condizioni precarie sul fronte dell'edilizia scolastica, i mancati rimborsi per i prof che accompagnano gli studenti nei viaggi di istruzione, la mancanza di aule autogestite per le assemblee e i licenziamenti di massa che hanno colpito i precari
Sei licei occupati, due appena "disoccupati" e due in autogestione. La mappa della rivolta radicale negli istituti romani presidiati dagli studenti va da Prati al centro storico, da Monteverde a San Lorenzo, fino al quartiere Coppedè. Un fronte compatto cui si aggiungono le autogestioni del Morgagni e del Tasso e, a breve, quelle del Caravillani, del Newton e dell'Aristofane.
Date diverse ma un'unica piattaforma: un "no" secco alla riforma Gelmini e ai tagli di 8 miliardi di euro che penalizzano la scuola pubblica. In alcuni istituti, ai motivi della protesta, si aggiungono le condizioni precarie sul fronte dell'edilizia scolastica, i mancati rimborsi per i prof che accompagnano gli studenti nei viaggi di istruzione, la mancanza di aule autogestite per le assemblee e i licenziamenti di massa che hanno colpito i precari. Ma a spaventare i liceali è anche il futuro: "La riforma Gelmini colpisce duramente gli atenei  - spiegano - con l'ingresso di privati nei Consigli di amministrazione, i tagli alle risorse e la precarizzazione dei ricercatori. Ci aspetta un futuro di macerie".
Avogadro . Al liceo scientifico nel quartiere Coppedè l'occupazione è partita soltanto oggi.  Un presidio anomalo "senza bandiera né colore", partito dai militanti di Lotta Studentesca, movimento di estrema destra, ma che però ha coinvolto anche ragazzi di altri schieramenti. I giovani stanno occupando il liceo. Una parte di studenti, appartenenti a gruppi di sinistra, si è però dissociata e ha deciso di autogestire la succursale di via Cirenaica con lezioni facoltative di didattica alternativa tenute dai prof. Colonna. Occupazione "alternativa" anche al liceo dietro piazza Farnese. Per due giorni  (oggi e domani) gli studenti presidieranno l'edificio, poi da lunedì inizierà una sorta di "occupazione partecipata": la mattina i docenti terranno lezione, il pomeriggio e la notte spazio invece a corsi sulla riforma e a gruppi di studio.
Talete. È il terzo istituto occupato oggi. Il secondo nel quartiere Prati dopo il Mamiani. Gli studenti stanno discutendo i tempi del presidio e le attività alternativa da svolgere.
Mamiani. Il classico in viale delle Milizie è stato occupato, tra mille divisioni e polemiche, il 16 novembre. E il presidio, almeno nelle intenzioni, dovrebbe andare avanti fino al 27, data della manifestazione nazionale indetta dalla Cgil. In questi giorni si sono tenuti incontri con vari giornalisti e seminari su Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi e Carlo Giuliani. La sera le palestre dell'istituto di Prati si sono animate con musica e concerti.
Manara. Ancora occupato, dal 15 novembre, il liceo Manara, in zona Monteverde. Gli studenti promettono di rimanere in presidio fino a che avranno le forze nonostante le minacce di sgombero da parte del corpo docente e i ripetuti tentativi della preside di entrare nella scuola. I ragazzi hanno organizzato corsi sulla politica italiana, la riforma, i movimenti universitari e il conflitto tra Israele e Palestina. Ma tra i progetti creativi c'è anche quello di ripitturare i muri esterni del liceo. 
Virgilio. Dal 16 novembre è occupato anche lo storico liceo classico di via Giulia. Altissima la partecipazione: un'assemblea di circa 700 studenti ha votato all'unanimità la forma di lotta più estrema. Un'occupazione che oggi ha coinvolto anche gli uffici del I Municipio: gli studenti hanno ottenuto un incontro con il minisindaco Orlando Corsetti per chiedere spazi di aggregazione dopo la sottrazione alla scuola dei campi da gioco e del cortile sotto cui sorgerà un parcheggio interrato. Il 25 si terrà un secondo incontro con l'assessore capitolino Alfredo Antoniozzi per trovare una soluzione condivisa.
Visconti. È terminata invece stamattina l'occupazione del liceo in piazza del Collegio Romano durata appena due giorni. Un presidio voluto dagli studenti "contro la riforma Gelmini, i fondi aggiuntivi concessi in Finanziaria alle scuole e agli atenei privati, l'abolizione dei compensi per i professori in viaggio di istruzione e la parziale privatizzazione del sapere". Ma, assicura il preside Rosario Salamone, "i ragazzi sono stati responsabili, ad una prima ricognizione non abbiamo trovato danni nell'istituto".
Machiavelli. Disoccupata anche la sede distaccata del Machiavelli, l'ex Gaio Lucilio di San Lorenzo, il primo ad inaugurare "l'autunno caldo" il 10 novembre. Dopo giorni di didattica alternativa e assemblee con il coordinamento "Surf" che riunisce anche il Newton, il Tasso, l'Aristofane e il Cavour, i ragazzi hanno riconsegnato le chiavi dell'istituto nel quale però non sono ancora potuti rientrare in attesa della disinfestazione.

VIOLA GIANNOLI

giovedì 18 novembre 2010

Il fiume segreto sotto il Tevere «Scalderà Roma»

(Corriere della sera)ROMA - «Il Tevere nasconde, sotto il suo letto, un enorme fiume profondo, completamente separato, che potrebbe essere utilizzato come sorgente di energia geotermica per riscaldare e rinfrescare gran parte dei condomini della capitale, con notevoli risparmi di combustibili e riduzione dell' inquinamento». A stupirci con questa doppia notizia, geologica ed energetica, è Franco Barberi, un volto noto ai più perché è stato sottosegretario alla Protezione civile prima di Guido Bertolaso. Ma, per chi si occupa di scienze della Terra, Barberi è soprattutto il professore di geochimica, il vulcanologo, lo scienziato che per primo è riuscito a deviare una rovinosa colata di lava dall' Etna. Tornato alla ricerca scientifica e all' insegnamento presso l' università di Roma Tre dopo la lunga parentesi al governo negli anni ' 90, Barberi, con la collaborazione della giovane moglie Maria Luisa Carapezza, geochimica all' Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), e di altri ricercatori universitari, ha ricostruito con grande dettaglio il corso del fiume sotterraneo di Roma, effettuando prelievi e analisi attraverso più di 200 pozzi. «L' acquifero si trova fra i 30 e i 60 metri sotto il Tevere ed è molto più largo del fiume superficiale, estendendosi per qualche centinaio di metri sia da un lato del corso che dall' altro - spiega lo scienziato -. Ma non si pensi a una vera e propria cavità: il flusso d' acqua sotterraneo scorre fra le ghiaie e le sabbie dell' antico corso del Tevere, stretto, sopra e sotto, fra due strati di terreno impermeabile e quindi isolato rispetto alle acque di superficie». Come se non bastasse la curiosità geologica del fiume antico sotto a quello attuale, che Barberi e collaboratori descrivono in uno studio appena pubblicato («La geologia di Roma», a cura del professor Renato Funiciello), le indagini fisico-chimiche indicano che le acque sotterranee possono diventare una risorsa energetica: «Hanno una temperatura media di 20 gradi centigradi, pH neutro e non presentano contaminazioni. Insomma - spiegano Barberi e la Carapezza - presentano le caratteristiche di un fluido che, grazie a pompe di calore, può cedere il suo contenuto termico, provvedendo sia al riscaldamento invernale che al raffrescamento estivo». In passato, aggiungono i due studiosi, sembrava che fosse conveniente sfruttare solo le risorse geotermiche ad alta temperatura, come quelle presenti nella regione Toscana, a Larderello, dove i fluidi sotterranei superano i cento gradi. Ma ora, in molti Paesi dell' Europa centro settentrionale si sta creando un grande mercato dell' energia geotermica pulita e a basso costo, sfruttando proprio acquiferi a temperature anche sotto i 20 gradi: «In Svezia, il Paese con la crescita più sbalorditiva di questi impianti, vengono installate ogni anno oltre 50 mila pompe di calore geotermico che già provvedono ai bisogni di diverse centinaia di migliaia di abitazioni - assicurano Barberi e la Carapezza -. A Roma, come pure in molte altre città italiane caratterizzate da un substrato geologico caldo, che trasferisce energia agli acquiferi profondi, sarebbe estremamente facile e conveniente estrarre i liquidi geotermici, convogliarli ai condomini e, dopo lo sfruttamento attraverso le pompe di calore, iniettarli nuovamente nell' acquifero per non farlo esaurire». Finora le ricerche di Barberi e collaboratori hanno ricevuto i finanziamenti del ministero della Pubblica istruzione, dell' Ingv e dell' università Roma Tre: «Ora ci aspettiamo l' arrivo di partner industriali con cui sviluppare alcuni prototipi di impianto, per valutarne funzionamento e rendimento». «Sono convinto che Roma, come Reykjavik, la capitale dell' Islanda, potrebbe raggiungere la pressoché totale indipendenza energetica dagli idrocarburi, grazie allo sfruttamento dell' energia del sottosuolo, diventando la capitale più pulita d' Europa - conclude il professor Enzo Boschi, presidente dell' Ingv, che appoggia con convinzione l' iniziativa di Barberi -. Non vorrei sembrare eccessivamente ottimista ma, data la relativa semplicità degli impianti, già in dieci anni si potrebbe disegnare il nuovo volto energetico della capitale». 

Foresta Martin Franco

mercoledì 17 novembre 2010

La leggenda della Papessa Giovanna

La papessa Giovanna è stata una figura leggendaria di papa donna, che avrebbe regnato sulla Chiesa dall'853 all'855. È considerata dagli storici alla stregua di un mito o di un leggenda medievale, probabilmente originato nel mondo ortodosso antipapale, che ottenne in Occidente un qualche grado di plausibilità a causa di certi elementi genuini contenuti nella storia.
Secondo la narrazione, era una donna inglese, educata a Magonza che, per mezzo dei suoi convincenti e ingannevoli travestimenti in abiti maschili, riuscì a farsi monaco con il nome di Johannes Anglicus. Sarebbe stata poi eletta papa, prendendo il nome di Giovanni VIII, dopo la morte di LeoneIV (17 luglio 855), in un'epoca in cui l'elezione del papa avveniva in modo fortuito.
La papessa non praticava l'astinenza sessuale e rimase incinta di uno dei suoi tanti amanti. Durante la solenne processione di Pasqua nella quale il Papa tornava al Laterano dopo aver celebrato messa in San Pietro, mentre il Corteo Papale era nei pressi della basilica di San Clemente, la folla entusiasta si strinse attorno al cavallo che portava il Pontefice. Il cavallo reagì, quasi provocando un incidente. Il trauma subito da "papa Giovanni" fu all'origine di un violento travaglio prematuro.
Scopertone il segreto, la papessa Giovanna fu fatta trascinare per i piedi da un cavallo, attraverso le strade di Roma, e lapidata a morte dalla folla inferocita nei pressi di Ripa Grande. Fu sepolta nella strada dove la sua vera identità era stata svelata, tra San Giovanni in Laterano e San Pietro in Vaticano. Questa strada (a quanto sembra) fu evitata dalle successive processioni papali - anche se quest'ultimo dettaglio divenne parte della leggenda popolare, nel XIV secolo, durante la cattività del papato ad Avignone, quando non c'erano processioni papali a Roma.
In altre versioni della leggenda (ad esempio in quella riportata nella cronaca di Martino di Troppau) la papessa Giovanna sarebbe morta subito al momento del parto - oppure, una volta scoperta, rinchiusa in un convento.
Sempre secondo la leggenda, a Giovanna successe papa Benedetto III, che regnò per breve tempo, ma si assicurò che il suo predecessore venisse omesso dalle registrazioni storiche. Benedetto III si considera abbia regnato dall'855 al 7 aprile 858. Il nome papale che Giovanna assunse venne in seguito utilizzato da un altro papa Giovanni VIII (pontefice dal 14 dicembre 872 al 16 dicembre 882).
Parte essenziale della leggenda è un rito mai svoltosi, ma fantasticato dal popolo e ripreso, in chiave anti-romana e con molto gusto, da autori protestanti del Cinquecento: s'immaginò che ogni nuovo papa venisse sottoposto a un accurato esame intimo per assicurarsi che non fosse una donna travestita (o un eunuco). L'esame avveniva con il nuovo papa assiso su una sedia di porfido rosso, nella cui seduta era presente un foro. I più giovani tra i diaconi presenti avrebbero avuto il compito di tastare sotto la sedia per assicurarsi della presenza degli attributi virili del nuovo papa.
« E allo scopo di dimostrare il suo valore, i suoi testicoli e la sua verga vengono tastati dai presenti più giovani, come testimonianza del suo sesso maschile. Quando questo viene determinato, la persona che li ha tastati urla a gran voce virgam et testiculos habet ("Ha il pene e i testicoli") e tutti gli ecclesiastici rispondono: Deo Gratias ("Sia lode a Dio"). Quindi procedono alla gioiosa consacrazione del papa eletto. »
Il primo a pubblicare la leggenda, negli anni 1240, fu il cronista domenicano Giovanni di Metz, ripreso pochi anni dopo dal collega domenicano Martino di Troppau.
Come per tutti gli altri miti in generale, esiste una parte di verità, abbellita da uno strato di finzione. Una sedia simile esiste; quando un papa prendeva possesso della sua Cattedra romana, in San Giovanni in Laterano, si sedeva tradizionalmente su due sedie di porfido (la pietra degli imperatori, assimilata alla porpora), con la seduta dispiegata a ciambella. Il motivo di questi fori è oggetto di discussione, ma poiché entrambe le sedie, di età costantiniana, sono più vecchie di secoli della storia della papessa Giovanna, esse non possono avere niente a che fare con una verifica del sesso del papa. Si è ipotizzato che in origine fossero dei water romani o degli sgabelli imperiali per il parto che, a causa della loro età e origine imperiale, furono usate dai papi per evidenziare le loro pretese imperiali (come fecero anche con il loro titolo latino di Pontifex Maximus). Il D'Onofrio spiega invece, in maniera convincente, che il rito aveva carattere essenzialmente religioso: la sedia da parto simboleggia la madre Chiesa che genera i suoi figli alla vita eterna. Una delle due sedie è attualmente esposta nella sala chiamata Gabinetto delle Maschere, nei Musei Vaticani.
Molti autori fanno poi confusione con una terza sedia, di marmo e non di porfido, priva di foro, ancor oggi visibile nel chiostro annesso alla Basilica Lateranense, che è quella detta propriamente sedia stercoraria. La Teologia portatile o Dizionario abbreviato della Religione Cristiana di d'Holbach definisce irriverentemente (ed erroneamente) la sedia stercoraria come «sedia bucata su cui il pontefice appena eletto pone le sue sacre terga, affinché possa essere verificato il suo sesso, onde evitare l'inconveniente di una papessa». Nella Vita della papessa Giovanna, il Platina rammenta la sedia stercoraria in questi termini: «questa sedia è stata così predisposta affinché colui che è investito da un sì grande potere sappia che egli non è Dio, ma un uomo e pertanto è sottomesso alle necessità della natura».
Il mito della papessa Giovanna fu totalmente screditato dagli studi di David Blondel, uno storico e pastore protestante della metà del Seicento. Blondel, attraverso un'analisi dettagliata delle affermazioni e delle tempistiche suggerite, argomentò che nessun evento di questo tipo poteva essere avvenuto. Tra le prove che discreditano la storia della papessa Giovanna troviamo:
La tradizionale processione papale di Pasqua non passava nella strada dove la presunta nascita sarebbe avvenuta.
Non esiste alcun documento d'archivio su un tale evento.
La "sedia dei testicoli", su cui i papi sederebbero per avere la propria mascolinità accertata, è di molto precedente all'epoca della papessa Giovanna e non ha niente a che fare con il requisito che ai papi vengano controllati i testicoli (come spiegato più sopra).
papa Leone IV (santo) regnò dall'847 fino alla sua morte nell'855 (e papa Benedetto III gli succedette nel giro di settimane), rendendo impossibile che Giovanna abbia regnato dall'853 all'855.
Il momento della prima comparsa della storia coincide con la morte di Federico II di Svevia, che era stato protagonista di uno stridente conflitto con il papato. Gli storici concordano in generale sul fatto che la storia della papessa Giovanna sia una satira anti-papale ideata per collegarsi allo scontro del papato con il Sacro Romano Impero, facendo leva su tre paure cattoliche medioevali:
1) un papa sessualmente attivo
2) una donna in posizione di autorità dominante sugli uomini
3) l'inganno portato nel cuore stesso della Chiesa.
Ciò che potrebbe aver preso avvio come satira da presentare nei carnevali di tutta Europa, finì comunque per essere una realtà accettata a tal punto che alla papessa Giovanna fanno riferimento personaggi come Guglielmo di Ockham. Ella compare anche in alcuni elenchi di Papi, principalmente nel Duomo di Siena, dove la sua immagine appare tra quella dei veri pontefici. La leggenda acquisì supporto dalla confusione sull'ordine dato ai papi di nome Giovanni; siccome Giovanni è il nome di papa più usato, e alcuni Giovanni erano antipapi, ci fu confusione su quali numeri appartenessero ai veri papa Giovanni. A causa di ciò l'elenco dei Papi non comprende un papa Giovanni XX.

lunedì 15 novembre 2010

Notizie di cronaca ( Racconto di Costantino Liquori tratto del libro “Gli altri siamo noi”)

Cammina per strada come uno spettro spaventato, oppure furibondo, oppure triste, dimenticato. Con l’animo dipinto sulla faccia, ogni volta diverso, ogni volta in subbuglio.
Anche il suo coprirsi impazzisce e cambia. Con un caldo soffocante capita che la vedo passare con quello che resta di un pesante maglione di lana. Al collo ha pesanti collane oppure una sottile e lacera corda, Ha gonne vistose, oppure brandelli di lenzuola sporche e bucate. Ai piedi ha scarpe da soldato oppure stracci arrotolati alla meglio. La faccia è mascherata oppure malamente dipinta. E' magra, è quasi invisibile e sembra che le unghie delle mani abbiano ottenuto il permesso di crescere a dismisura.
Ho provato a seguirla, cammina silenziosa, assorta, concentrata nei suoi travestimenti. Ha un viso da cammello, ha mani come radici.
Sul ponte Risorgimento ha gli occhi dipinti di nero, la faccia è una confusa maschera di sangue, sulle gambe e le braccia scoperte sono disegnate così bene, a tale punto da sembrare vere, grandi ferite ancora sanguinanti, squarci. Le linee della bocca sono storte e martoriate come in un’ultima smorfia di dolore. I capelli sono dipinti male di un rosso cupo con qualche schizzo di celeste,sporchi e appiccicati da qualcosa che assomiglia a grumi di materia grigia esplosa, schizzata fuori dalla testa nello sforzo di dire una parola.
Quello che indossa è indistinguibile, stoffa lacera a strati, bucata e lercia, macchiata di una vernice rabbiosa. Cammina assorta in un foglio di giornale ciancicato, non vede nemmeno dove mettere i piedi. La donna dentro di lei è prigioniera di un altro essere.
Me la trovo addosso, non si sposta, mira dritta davanti a sè, una volta che mi è passata oltre, aprendo una voragine nel mio torace, con la coda dell’occhio mi accorgo che si gira, divarica le mascelle come quelle di un serpente e si esibisce in un sorriso muto. Lungo, interminabile, da far venire la pelle d'oca.
Forse adesso dalla bocca sputerà un suo doppio.
La incontro ancora, è seduta sulle scale della fontana di Piazza Trilussa, si sta dipingendo con un pennello una grande ferita intorno al collo. Dei relitti umani a poca distanza lei avrebbero intenzione di prenderla a calci.
Accanto a se alcuni barattoli di vernice e il solito foglio di giornale che resiste, nonostante tutto. Ogni tanto lo guarda e sembra piangere lacrime di vernice nera. Interrompe l'operazione di pittura e comincia a contorcere il corpo lentamente, le gambe salgono fino ad imprigionare la testa e le braccia si perdono e strisciano in quel groviglio come serpenti in amore. Un occhio spunta fuori da dietro un ginocchio. Si accorge di me.
Addosso a lei vedo il suo disappunto per essere stata scoperta e il mio imbarazzo per averla osservata. Si snoda e mi fissa.
Io muovo gli occhi e così fa anche lei, io vengo assalito da tremore nervoso e così anche lei, io faccio un passo in avanti chiamato dalla mia immagine riflessa e lei si alza e scende di uno scalino verso di me. Portiamo ambedue la mano a stringere il fianco, gli occhi di ambedue iniziano a lottare fra di loro.
Lei inarca il collo indietro per farmi vedere lo squarcio, la disgustosa ferita che si è appena dipinta, il collo che le sta per cadere.
Per togliermi da quella situazione accenno ad un sorriso, anche lei mi sembra che lo faccia, ma subito dopo la sua bocca dà spettacolo di se e si mostra in contorsioni da clown, gli occhi le girano strabici, dunque fa un passo indietro e si rimette a sedere e ricomincia a dipingersi, dimenticandosi di me.
Si fa avanti il giorno dopo, e la ritrovo ancora. Viene a sedersi vicino, nel bar che mi vede come un forzato tutte le mattine ad ingoiare il mio veleno indispensabile. Il bar che mi serve per non ricordare, per ammazzare definitivamente quello che resta di me.
Si siede facendo prima due giri su se stessa, si siede davanti all’unico tavolino pieno di tazzine sporche e resti di altre colazioni. Tiene stretta fra le braccia una bambola martoriata, senza braccia e con una gamba sola, uno degli occhi è vuoto e la la faccia è dipinta di bianco. Si siede e pare che non si accorga di me.
E’ vestita dei soliti suoi stracci dai colori morti, In testa ha un basco militare calato fino agli occhi. Fruga nelle tasche ed estrae un foglio di giornale, il solito. Lo sistema sul tavolo. Si gira verso di me per verificare che io la stia guardando, poi si mette a coccolare la sua bambola maciullata, forzando le lacrime dagli occhi imbrattati di rosso.
Per aumentare l'effetto della sua sofferenza prende dagli avanzi del tavolino un bicchiere d'acqua ancora pieno e se lo versa in faccia, abbarbicandosi agli occhi miei, poi, con le dita prende a scavare in un buco della stoffa della bambola. Adesso le tirerà fuori il cuore? Lo vorrei, ma non riesco ad infuriarmi, vorrei, ma non mi esce nemmeno la pena.
Devo chiederle qualcosa adesso. Ma, mentre decido che cosa, lei si alza delusa, e se ne va, lasciando il foglio di giornale ciancicato e pieno di quello che può sembrare sangue, sul tavolino. Leggo e fatico a crederci. La bambola la teneva stretta una bambina martoriata da una mina antiuomo, l'ho fotografata in mezzo alla polvere e il sangue.
Rileggo e sono ancora io l'autore della descrizione dell'inferno. I bambini e la guerra, il massacro vergognoso, con cifre, fotografie e tutti i dettagli. Sono io che ho addirittura dimenticato chi sono e come la penso. Io che mi sono perduto e annegato nel fondo di tutte quelle bottiglie di amaro. E quel foglio di giornale finirà calpestato, oppure qualcuno lo userà per i gabinetto, ma forse straziato dalle scarpe di un'intera città. Lo prendo e me lo metto in tasca, Cos'altro ho scritto, cos'altro ho pensato ?
Chiedo spiegazioni al cameriere.
Ma quale donna? Siamo alle solite. Il tavolino è vuoto, qui s'è seduto solamente un obeso rompiballe questa mattina presto...ma perché non ci dai un taglio a tutto questo alcool ? Donne così ne vedresti di meno -
Mi alzo di corsa per andarla a cercare. Rovisto fra le gambe e le schiene della gente che cammina verso di me, fra le automobili e i sederi, dietro gli alberi e contro i muri dei palazzi.
La trovo infondo ad una strada impegnata in una danza di guerra davanti a due turisti, che gli straccioni non li vogliono vedere perché loro non hanno tempo da perdere. La insultano e gridano, la spingono indietro. E mentre m'ingoio di corsa la strada lei si lascia cadere con un'allegra piroetta in un tombino aperto. Un tombino che prima non c'era. Ma chi è questo clown?
E' lo specchio degli orrori del mondo, è una memoria che riaffiora spietata. E' la mia storia distratta e avvelenata. E' un'altra possibilità. E' l'ultima rimasta.

Appia, lo scempio del capannone condonato

( La Repubblica) Trecento metri quadrati di lamiera. Un vecchio, fatiscente prisma costruito nel cuore del parco archeologico e naturalistico dell'Appia antica. Proprio alle spalle dell'acquedotto dei Quintili, che serviva a irrigare la villa di questi patrizi romani sterminati da Commodo per impossessarsi della loro principesca dimora. Ma la cosa più assurda è che il capannone industriale, che spicca tra i campi di Casale della Sergetta, oramai è legale. È talmente malmesso che sembra attenda come una liberazione la spinta di una benna che lo abbatta per sempre mettendo fine all'agonia di questo scempio. Invece i proprietari hanno ricevuto ben due condoni edilizi. Ed è in forza del lasciapassare rilasciato dal Comune nel 2004 e nel 2005 che ora chiedono di fare nuovi lavori.
"Ma noi abbiamo bloccato tutto perché l'iter della domanda di sanatoria non è corretto" denuncia Rita Paris, responsabile per la Soprintendenza archeologica speciale di Roma di questo lembo di terra a ridosso della Regina viarum sul quale, almeno dal Piano regolatore del 1965, vige un vincolo, continuamente disatteso, di tutela integrale: inedificabilità assoluta.
"Stavolta la nostra denuncia non coinvolge il privato, che ha avuto il condono - spiega l'archeologa dello Stato da anni impegnata nella lotta all'abusivismo sull'Appia nel segno della battaglia condotta da Antonio Cederna - ma è rivolta alle istituzioni che hanno rilasciato i permessi. Come ha potuto cinque anni fa il Campidoglio accettare la domanda di sanatoria senza sentire noi che siamo preposti alla tutela? E, adesso, l'Ente Parco ci dica se è ancora interessato alla salvaguardia dell'Appia".
Infatti, nella domanda per il via libera a nuovi lavori di tinteggiatura, ristrutturazione dei bagni e rifacimento delle finestre che la Paris si è vista recapitare all'inizio del mese, sono allegate le due concessioni in sanatoria del 2004-2005 "una per un manufatto industriale, l'altra per un esercizio commerciale: come è possibile?") ma anche un freschissimo lasciapassare dell'Ente parco regionale "che dice sostanzialmente così: va bene ai lavori, purché siano mantenuti i materiali originari" denuncia la Paris. Insomma, tutela di arrugginite lamiere neanche si trattasse di tegole romane.
Stato, Campidoglio e Regione sono le istituzioni principali che gestiscono l'Appia, insieme con i municipi primo e undicesimo e il Comune di Marino. E il 25 novembre il ministro Bondi, accompagnato dal sottosegretario Giro e dal commissario Cecchi, faranno gli onori di casa al sindaco Alemanno e la governatrice Polverini perché alla Villa dei Quintili sarà inaugurato il nuovo percorso espositivo che comprende le recenti scoperte di ambienti, affreschi e mosaici. Ma la villa dei Quintili rischia di essere un'isola felice in un mare di degrado, quello dell'Appia. Dove alla spinta verso nuove costruzioni abusive, alimentata dalle promesse del Piano casa regionale e dal collasso dell'Ufficio condono edilizio comunale, si aggiunge l'assurdo di vecchie sanatorie, ma cariche di conseguenze nefaste per il futuro. Come è il caso emblematico del capannone al Casale della Sergetta. "Perché l'Ente parco non ha chiesto il nostro parere prima di dare il suo ok alle ristrutturazioni? Perché non si è astenuto" si chiede la Paris. Ora i proprietari di quel baraccone - peraltro escluso dal programma di delocalizzazione degli edifici industriali esistenti nel Parco - si ritrovano tra le mani un titolo edilizio. "Dobbiamo far finta di nulla?" insiste Rita Paris: "E se poi quelle lamiere diventano mattoni?"

di CARLO ALBERTO BUCCI

sabato 13 novembre 2010

Morto tra le fiamme

(Corriere della sera) Portuense, morto tra le fiamme della baracca, altri due rimasti feriti
Secondo i primi accertamenti effettuati dal medico legale, l'uomo 35enne, è deceduto senza accorgersi di nulla dato che dormiva profondamente perchè ubriaco.
La baracca bruciata (foto Proto) ROMA - Una baracca fatta con pali di legno sotto il ponticello di un canale, è andata a fuoco nella notte, intorno all’1,10, su via Fosso della Magliana, all’angolo con via Portuense, a Roma. Sul posto sono intervenute due squadre dei Vigili del Fuoco, che dopo aver domato le fiamme hanno rinvenuto all'interno della costruzione bruciata il corpo di un uomo completamente carbonizzato. Aveva tra i 35 e i 38 anni. Non è stata ancora possibile l'identificazione. Secondo i primi accertamenti effettuati dal medico legale, l'uomo è deceduto senza accorgersi di nulla dato che dormiva profondamente perchè ubriaco. Per scaldarsi l'uomo ha acceso un fuoco all'interno dei 15 metri quadrati della baracca con stracci imbevuti di alcol e poi si è addormentato. Le indagini sono condotte dagli agenti del Commissariato San Paolo.
DUE FERITI - Il suo coinquilino è rimasto gravemente ferito ed è ricoverato al Sant'Eugenio con gravi ustioni alle braccia. Un terzo uomo, che viveva in una baracca vicina, è rimasto ferito in modo non grave. Il primo è ricoverato al Sant'Eugenio con ustioni di secondo e terzo grado (non in pericolo di vita) e l'altro (che al momento dell'intervento era in stato di ebbrezza alcolica e senza documenti) dimesso con sette giorni per un'ustione a una mano. Quest'ultimo avrebbe trovato la baracca in fiamme dando l'allarme e, in attesa dell'arrivo dei vigili del fuoco, avrebbe tentato di spegnere le fiamme. Sono in corso indagini del Commissariato San Paolo.
Il ritrovamento del cadavere di un uomo a Colle Oppio (Proto) UN CADAVERE A COLLE OPPIO - L'uomo trovato morto a Colle Oppio, invece, è deceduto per cause naturali. Il corpo è stato trovato in via Luigi Cremona, nella zona utilizzata come ricovero per clochard e immigrati. Stando agli accertamenti effettuati dagli agenti del commissariato Esquilino, che indagano sulla vicenda, la persona deceduta potrebbe essere un cittadino americano. E l'assessore Belviso precisa: «Non risulta essere una persona senza fissa dimora».
«BOLLETTINO DI GUERRA» - «Sembra un bollettino di guerra, un triste bollettino di guerra» è il commento di Sergio Gaudio, coordinatore del Forum Immigrazione del Pd Roma. «Questi morti sono vittime dell'incuria e del degrado di una città che non offre prospettive ma soltanto dichiarazioni della giunta comunale». Mentre il presidente della Commissione Sicurezza di Roma Capitale, Fabrizio Santori (Pdl), fa sapere che «l'amministrazione capitolina ha messo in atto una regolamentazione dei campi nomadi, una sana integrazione ed una repressione degli abusi con un piano condiviso da tutti» e pertanto «è necessario andare avanti con le espulsioni applicando la tanto decantata direttiva europea sulla libera circolazione dei cittadini comunitari, la 38 del 2004, stabilendo la possibilità di permanere sul territorio ospitante per soli tre mesi - durante i quali le amministrazioni possono offrire assistenza alloggiativa - trascorsi i quali chi non ha le risorse per restare deve andarsene».

mercoledì 10 novembre 2010

La città virtuosa

(Corriere della sera)La città virtuosa: più adozioni che abbandoni per cani e gatti
Per la prima volta a Roma il bilancio in canili e centri per felini ha un saldo positivo: 417 animali hanno trovato casa
Più adozioni che abbandoni. Per la prima volta, il bilancio tra le entrate e le uscite di cani e gatti, nelle quattro strutture del comune di Roma, è in positivo. Infatti se sono 355 gli animali per cui, tra agosto e ottobre, si sono aperte le porte del canile, 417 sono stati gli esemplari, cuccioli e non, che hanno trovato una nuova casa e l’affetto di nuovi padroni.
Un dato confortante, che in parte compensa quello relativo agli abbandoni estivi che ammontano tristemente a quattro animali al giorno.
«Un dato estremamente significato perché segna una storica inversione di tendenza – ha commentato l’assessore comunale all’Ambiente, Fabio De Lillo –. Segno che le iniziative intraprese stanno dando i frutti sperati. E sono anche convinto che la campagna antiabbandono avviata a luglio da Roma Capitale abbia dato un contributo importante».
Increduli e soddisfatti del risultato ottenuto anche i volontari dell’Avcpp (l’Associazione volontari canile di Porta portese), che dal 1997 gestiscono i canili della Muratella, di Vitinia, di ponte Marconi e la valle dei Cuccioli a villa Borghese: «Inizialmente abbiamo pensato ad un fortunato fenomeno passeggero – spiega la presidente Simona Novi – e invece ormai sono tre mesi che si conferma un trend positivo che non ha eguali nella storia del randagismo romano».

martedì 9 novembre 2010

Da Roma a Gerusalemme ( Racconto tratto dal libro di Costantino Liquori " Gli altri siamo noi")

Mi accorgo, m’immagino, ho bevuto e bevuto, anche stasera. Sto reggendo con le mie spalle il muro di un palazzo che si muove troppo. Accade in una strada senza uscita di un quartiere scartato per decenza dalle mappe, il regno delle blatte e delle merde infette di piccione. Si tratta di una virgola scappata da me in seguito a un conato troppo forte e scivolata sotto una montagna di rifiuti, soffocata nel profondo di un cassonetto che puzza di morte, mischiata alle interiora decomposte di un pollo, e a tutto quello che l’inquilino di un terzo piano ha rigettato dopo la cena. Nome  e cognome di quell’inquilino conosco bene. Questa unica virgola, la mia in fuga, è rimasta seppellita nel buio e nello schifo, è quasi morta, non si muove, pare che s’è arresa, sembra un lombrico schiacciato da una scarpa, agonizzante. Comincia a piovere, come succede di solito quando mi esagero, l’acqua dilaga e scorre, s’insinua nella mondezza, la inzuppa. La virgola fradicia è scossa da un brivido, si muove, si contorce, reagisce. A fatica si scuote di dosso gli avanzi di cibo decomposti, i brandelli di carne masticata e sputata, la poltiglia di vomito che la riveste ed a fatica si arrampica su, verso l’aria meno fetida, verso la salvezza. Ora è sul ciglio del cassonetto e prova a respirare profondo, ma è sfinita. Io la guardo appoggiato al muro mentre sono impegnato nel sistematico avvelenamento dell’interno di me, la vedo nel buio che si contorce, che cerca di trovare un’ultima energia. Non si tratta di un verme, è una virgola, proprio e di sicuro. Mi osserva anche lei e mi odia. Che vita di schifo le ho offerto io !
Fra me e lei, il lombrico mezzo morto, ci si mettono due spalle alte e secche, un grosso gomitolo di capelli folti e neri e luridi assai. Ha intenzione di prelevare dalla mondezza quello che trova e quello che gli spetta per rimandare la sua dipartita. Affonda a piene mani, barcolla, si aggrappa al bordo del cassonetto, sfiora con la bocca la virgola, che non vede l’ora, ch’è resuscitata per questo. S’inarca il verme, e con un guizzo improvviso preso alla disperazione, la virgola gli guizza in gola appena la bocca si apre costretta dallo sforzo e dalla fame. Oppure per un semplice rutto. Ingoia spaventato, si tocca la gola, si alza sul suo grande e secco tronco, si sorprende, si chiede, si gira verso di me cercando una conferma. Ch’è successo, che diamine ha ingoiato ? Ha gli occhi lucenti e tutti i denti in fila, in parata, sorridono e non sanno il perché. Mi guarda ed è sorpreso, mentre io reggo il palazzo alle spalle di me. Parla, mi parla.
-          Ho ingoiato un pensiero? –
Assomiglia all’eroe degli oppressi, sembra il guerriero cubano, è addirittura più grande e più dritto.
-          Tutto è cambiato, il fegato, le mani –
Io sono senz’altro ubriaco, senza ombra di dubbio, il mio muro continua ad ondeggiare, ma non trovo la perfidia di dirglielo. Una virgola s’è ingoiato, una stupidaggine inventata da me. Io che gli intravvedo addosso persino una voce diversa.
-          Ho un’altra gola, ho il coraggio. Perfino riesco a capire! -
E’ quasi l’alba, mi spinge con lui sulla riva del fiume, dov’è il suo rifugio, dove la sua povera roba stà lì e impaurita lo attende. Un materasso lurido, coperto da quella che una volta era stata una tenda da campeggio. Una palla di stracci annodati insieme, una candela inservibile, vinta dall’umidità del fiume, una bottiglia vuota e un vecchio libro sulla cui copertina trionfa l’immagine deceduta dell’eroe cubano rosicchiato dai topi, vittima dell’urina di qualche altro senza tetto di passaggio. Poco distante, appollaiate sul marmo bianco troppo antico e logoro, altre tre figure sedute o imbalsamate, non esattamente vive, molto immobili e avvolte in una pelle di stracci. Il fiume è gonfio e di cattivo umore, sbatte e tormenta un’attracco di legno e ferro marcio e piegato dal continuo scorrere impietoso. La luce arancione di qualche lampione rimasto intatto, della città i riflessi sull’acqua, il grigio sporco del fiume e di un’alba che stenta ad arrivare. Prende il suo libro e mi porta a sedere sul bordo del fiume tenendomi sempre gli occhi lucenti attaccati addosso. Sembra avere inghiottito la verità rivelata. Ride. Ride nel fracasso dell’acqua. Il mio alcolico umore aumenta con lui, la storia si dipana nelle mie budella, gorgoglia.
-          Sono venuto in pellegrinaggio, dovevo andare a Gerusalemme a incontrarlo, a vedere il Nazzareno, a toccarlo. Cos’è che ho ingoiato ? Tu hai visto? –
Io ho solo le certezze di un delirio mio privato.
-          Hai ingoiato una virgola agonizzante, ma forse non è stato un caso. Ti ha scelto lei, per dispetto –
Non riesce a sentirmi avvolto dal fracasso dell’acqua?
-          Il mio pellegrinaggio si è interrotto qui, sotto una città nemica, nel nulla e nella fame, davanti a fratello fiume. Tu lo sai, tu mi vedi, adesso mi trovo una parte di me che non è mia, che con me non c’entra. Adesso capisco ogni parola di questo libro. Prima non sapevo leggere nemmeno, prima non sapevo neanche la tua lingua. Che faccia ho? –
La minaccia dell’alba è su di noi, lui ha fretta di spiegarmi, si toglie la maglietta e la regala al fiume.
-          E’ il momento di andare –
-          Ma dove, ma come? –
-          A Gerusalemme, con questa faccia mi riconoscerà e mi parlerà di sicuro, io e lui siamo dalla stessa parte. C’arriverò accompagnato dal fiume –
-          La virgola! Ti credi il cubano ? –
-          Lo sono, ho anche combattuto, sono io –
-          Moltissimo ! -
Ernesto Che Guevara ce l’ho davanti, i suoi occhi lucenti non possono mentire, vedo i buchi dei proiettili sul torace nudo e sulla pancia, riconosco il suo coraggio e la sua determinazione stampati sulla faccia scheletrica.
Il fiume s’è gonfiato di più, la città comincia a rumoreggiare sopra la nostra testa, oppure è il vento. Gli autobus e le ambulanze, le ambulanze e gli autobus. I semafori rossi. Le tre figure si liberano dagli stracci e s’avvicinano alle cose del cubano, le scelgono, se le vogliono spartire, rovistano nei suoi avanzi. Io mi chiedo come mai il mio delirio alcolico sia capace di costruire una storia così assolutamente assurda. Affondo la mano nella tasca e recupero l’unica e solitaria lucidità che m’è rimasta per caso.
-          Non farlo, non devi, non puoi –
Lui è già nel fiume, lui scompare nei gorghi, lui è in viaggio verso Gerusalemme, per incontrare il Nazzareno.
Ma il lombrico non s’è gettato nel fiume, sento solleticarmi una gamba, la virgola sta risalendo me, sta tornando dal suo padrone legittimo.

lunedì 8 novembre 2010

Liceo Tacito, la "scuola fai da te"

(La Repubblica). Nelle ore di lezione tinteggiate le aule sporche. Soddisfatta la dirigente Mori: "Un esempio civico straordinario". Qualche scritta scrostata risaliva agli anni '90
Sul pavimento ricoperto di vecchi giornali, una trentina di ragazzi con i pantaloni imbrattati di vernice e un luminoso sorriso in volto mostrano, orgogliosi, i pennelli. "Abbiamo ridipinto la nostra classe, è venuta bene, no?". Impossibile negarlo: le pareti tinteggiate di fresco sembrano il risultato dell'opera di un professionista. E, invece, sono il frutto del lavoro di un centinaio di studenti del Tacito, che a rotazione, durante il mese di ottobre, si sono improvvisati imbianchini per ridipingere le pareti di alcune aule del liceo di via Giordano Bruno, prima coperte di scritte e insidiate dall'umidità.
Una nuova frontiera di "scuola-fai-da-te", ideata dai ragazzi. Ma, soprattutto, una spontanea assunzione di responsabilità che ha molto colpito la dirigente, Giuliana Mori: "Lo trovo un esempio di senso civico straordinario, per questo li ho autorizzati a intervenire. Perché non rischiassero nulla e fossero assicurati, abbiamo istituito il "Progetto Decoro", coordinato da una professoressa di Storia dell'Arte e inserito nel piano dell'offerta formativa della scuola".
Nel corso del mese di ottobre, cinque classi del triennio hanno ritinteggiato le proprie aule, in soli due giorni ciascuna. "Lo scorso anno la Provincia aveva già ridipinto una decina di aule e un corridoio della nostra sede centrale - spiega la preside - Ora sta intervenendo per sistemare gli uffici e gli altri corridoi, ma nel frattempo i ragazzi hanno deciso di contribuire in prima persona, pitturando le ultime aule che erano rimaste in sospeso per mancanza di fondi, per dare una mano".
"Abbiamo scrostato il vecchio intonaco, rovinato per le infiltrazioni di umidità, passato la carta vetrata e steso la nuova vernice. Il tutto in sole due mattinate - spiega Jacopo D'Agostino, studente diciottenne del II C - Ci siamo divisi i compiti e, insieme, abbiamo lavorato benissimo".
Il perché di una tale iniziativa lo spiega la compagna di classe, Valentina Voltarelli: "Alle scuole pubbliche arrivano sempre meno fondi, che non bastano a coprire le spese necessarie. Con questo gesto abbiamo deciso di lanciare un messaggio, non polemico ma costruttivo, alle istituzioni: noi teniamo alla nostra scuola e vorremmo che anche loro se ne prendessero più cura".
Sotto l'occhio vigile dei prof, infatti, i ragazzi si sono impegnati con entusiasmo. "Ci siamo divisi il lavoro a seconda delle capacità e abbiamo fatto squadra - raccontano Andrea e Lorenzo del I A - la classe ne aveva bisogno: alcune scritte risalivano addirittura ai primi anni '90, una rinfrescata ci voleva". D'accordo anche Gianluca D'Acunti, docente di italiano e latino: "Ho ceduto un paio delle mie ore volentieri perché ritengo che l'idea dei ragazzi abbia un forte valore formativo, oltre a un'evidente utilità pratica: hanno dimostrato un grande rispetto per il proprio ambiente di lavoro e questo gli va senz'altro riconosciuto".

Chiude il Museo della Liberazione

( Corriere della Sera ) L'annuncio del presidente in una cerimonia pubblica: dal 2 gennaio dovremo affidarci ad un commissario. «Dai Beni Culturali un terzo dei fondi promessi»
ROMA - Ora tocca a via Tasso. A gennaio con tutta probabilità si chiude. Il museo, ex carcere romano delle Ss di via Tasso, tristemente noto per le sevizie inflitte dai nazisti in particolare agli ebrei della Capitale rischia di non dover riaprire più nel 2011. Ad annunciarlo domenica nel corso di una cerimonia pubblica il presidente del Museo, il professore Antonio Parisella. La ragione, sempre la stessa: finanziamenti che vengono meno, con un bilancio già magrissimo da tempo. Nel 2010 assegnato solo un terzo di quanto atteso. «In queste condizioni non ce la facciamo più», ha annunciato Parisella.
«Nel momento in cui – insieme al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed al generale Vittorio Barbato e al commissariato alle onoranze ai caduti del Ministero della Difesa – il Museo storico della Liberazione viene onorato con l’assegnazione dell’importante riconoscimento del Premio “Sasso della Montagna della Pace”, debbo dare a tutti voi, per la prima volta pubblicamente, una notizia meno lieta che mai avrei voluto dare: è ormai molto probabile – o quasi certo – che il 2 gennaio il Museo possa non aprire i battenti e che venga commissariato». Queste parole, pronunciate dal presidente del Museo Antonio Parisella, hanno lasciato nello stupore e nel disappunto le autorità e i circa 350 cittadini di Cervara (Roma) che avevano affollato la chiesa della Visitazione per partecipare all’iniziativa della consegna dei premi promossa dal Comune di Cervara.
I FONDI - «Con gli amministratori del Museo – ha poi dichiarato Parisella – abbiamo tenuto un’apposita riunione nella quale, sulla base di una recente corrispondenza, abbiamo dovuto constatare che il Ministero per i beni e le attività culturali non ha operato, forse, il previsto taglio del 15% del contributo annuale di € 50.000,00 previsto dalla legge istitutiva per il funzionamento del Museo, ma poi ci ha finora assegnato per il 2010 – un esercizio finanziario che sta per concludersi –soltanto un terzo di quanto dovuto e gli uffici non sono in grado di confermarci né se saranno in grado di accreditarci il resto entro l’anno in corso né su quale entrata certa il Museo potrà contare per il 2011. Neppure ci sono venute in aiuto con i loro contributi – nonostante ripetute dichiarazioni alla stampa – le amministrazioni locali, Regione Lazio, Comune, Provincia e Camera di Commercio di Roma, alle quali, secondo le indicazioni della legge istitutiva, ci eravamo rivolti fin dal maggio scorso, perché concorressero con lo Stato a garantire il raggiungimento degli scopi istituzionali del Museo».

Paolo Brogi

domenica 7 novembre 2010

L'uomo delle anguille (racconto di Costantino Liquori tratto dal libro "Gli altri siamo noi")

La pace si può trovare anche al di sotto della città. Lì dove confluiscono le scolature, lì dove scorrono inesorabili e lenti gli avanzi, in un’atmosfera che varia dal marrone al grigio, e talvolta rasenta il pezzato. La pace , per alcuni, soprattutto lì sotto. 

Diverso è il ritmo, non va con il cuore, ma con la noia della corrente, con della sorte il trascinio. Quello che dall’alto del ponte sembra fermo, è già imprendibile, è già ad un passo dal mare. Camminare contro corrente in certi giorni appare come l’unica accettabile rivalsa. 

Sotto il ponte sta l’uomo con il berretto, subito sotto la confusione. Lì immerge la sua bava ed attende i regali del flusso, alza e riabbassa il braccio, si uniforma perfino al colore che gli scorre accanto ai piedi. Sono erbacce oppure si tratta di veramente piedi? 

Gli osservo gli occhi e vedo passarci di riflesso l’avanguardia di un grumo di detersivo. Ma non ci giurerei che di detersivo si tratta, potrebbe anche trattarsi dell’anima dispiaciuta e disfatta di un cane, o un vestito da sposa, o lenzuolo che dir si voglia, o tappeto, o straccio, o pane inzuppato. 
L’uomo con il berretto aspetta le anguille, ma controlla qualsiasi oblunga cosa, e qualunque di lei parente. Vuole godere della sorpresa, mantenendo così alto il nome della pesca. 
Lui però non è il solo frequentatore delle scolature al disotto della città, c’è un altro adoratore del flusso. Codesto è il topo. 
Nella cruenta cittadina mitologia, il topo ha denti due volte più affilati dello squalo. Ha pelo da peste. Ha un alito che uccide. E’ uno sbranabambini. Dicono che il topo è anche il signore dei sogni. 
Inoltre costringe alla fuga chiunque osi allargare le gambe nel suo spazio vitale. Il topo è atroce, quindi che nasca e muoia nella putrida schifezza. 
Insieme a lui ci sono anche tracce ben visibili di romantici sdolcinati che nel fiume amano constatare il loro concretizzarsi. 
Le parole dolci, in un posto simile, credono di poter mitigare l’aspetto da battaglia perduta, da c’era una volta, da viaggio nell’immediato orrore. 
- Sogno Sobiria, desidero Sobiria, adoro Sobiria, vivo per Sobiria e le taglierò quindi la gola. In cambio di Sobiria voglio un miliardo – 
Chi ha scritto così, sotto il ponte più decrepito, Sobiria l’ha già sbudellata, se l’è scopata da morta ed è risalito di corsa e pieno di buone intenzioni, a livello città. Ed ora si sgranocchia una pizza al taglio e al fiume non c’è mai stato. La scritta è di un nero corvino, salta agli occhi. 
L’uomo con il berretto si volta di poco, ma non capisco se il suo è un sorriso oppure una bestemmia. E mi dice. 
- Nel quarantaquattro ho preso due anguille in un giorno solo. Da allora niente ancora- 
Nel flusso limaccioso la città riflessa, una città intravista nell’olio usato. Cioè un cattivo scherzo dell’occhio, un delirio da vino scadente. Un surrealismo che non riesce ad essere venduto. 
Da lassù qualcuno lancia qualcos’altro. I topi si disilludono, non si tratta di un dono commestibile. E’ un portafoglio vuoto. 
La morte tira l’amo e l’uomo col berretto tira su la morte. 
- Questa donna è di Monte Sacro. Lei non ha mai potuto soffrire i pesci, e soprattutto quelli disegnati. Comunque dicevano ch’era perbene, comunque una perbene queste fissazioni non ce l’ha. E il figlio glieli metteva persino nel gabinetto. Da un momento all’altro doveva arrivare – 
Alza la madre impazzita e la ributta verso il mare. Si rimette a desiderare rigido. 
Emerge una testa mozza e ci sorride. 
- Glielo dicevo tutti i giorni. Ma perché non t’ammazzi? E l’ha fatto sul serio. Ciao Italo, ciao bello, bravo che m’hai dato retta – 
L’uomo con il berretto è capace d’individuare immediatamente il fatto e il tipo. C’ha fatto la mano quaggiù. 
- Quest’altro la tuta rosa ce l’ha solo lui. E’ un ladro e un rompiballe – 
- E quello cos’è? Macchè anguilla è il topo. E il topo non si tocca, è pescatore come lo sono io – 
Sento ribollire, il fiume cambia aspetto, come se volesse scrollarsi di dosso una schifezza veramente troppo esagerata. Il topo non sa da che parte filare. L’uomo con il berretto straparla, si agita e suppone. 
- E’ la mia anguilla, è lei, per forza - 
Sotto, una grande ombra con tante braccia che la seguono e la scortano e la circondano. Scorre via rapida sollevando bollori e nuovo fetore insopportabile. 
Resto paralizzato a guardare. 
L’amo non può niente, l’uomo con il berretto è felice ed ha paura, è eccitato ma anche furibondo. L’amo non vuole. Perdere non si può e allora l’uomo e il suo berretto sono dentro l’acqua, sotto. Più non si vedono. 
Resto lì.