di Luciana Ciminotutti ( L’Unità)
Sotto le luci scintillanti della stazione Termini, sotto i treni Freccia Rossa che promettono di collegare tutta l’Italia in un battibaleno, sotto i carrozzoni dei pendolari che si affannano veloci sulle banchine, sotto i suoi centri commerciali, più giù verso le metropolitane.
Ecco, sotto i labirintici binari della snodo ferroviario più importante del paese, c’è un teatrino, un ex dopolavoro ferroviario, nel quale Angela Cocozza da lezioni gratuite di danza e di vita ai giovani romani di tutto il mondo.
Un crocevia di culture che ha scelto la stazione come ritrovo naturale e l’hip-hop e la break-dance come espressione del corpo, come unica comunicazione con il resto del mondo, con il “sopra”. Angela e Brancy, ballerino nigeriano, non insegnano ai ragazzi che passano dai sotterranei solo i passi di danza, strappandoli a ben altre e pericolose strade, ma insegnano le regole della convivenza, della tolleranza, del rispetto reciproco e del lavoro offrendo opportunità di crescita e inserimento sociale.
Il 31 ottobre al Festival di Roma sarà presentato nella sezione “Alice nella città”, proprio un documentario su questa esperienza. Si chiama “Termini Underground” ed è stato pensato, diretto e prodotto dalla talentuosa regista Emilia Zazza. La macchina a mano, le luci e i suoni naturali sono il linguaggio scelto da Zazza per seguire i ragazzi in un modo il più possibile aderente alla realtà.
La telecamera non è mai invasiva, non ci sono interviste, ma scivola delicatamente sulle precarie esistenze dei protagonisti che dall’ottobre del 2009 al giugno del 2010 si esercitano nelle prove dell’ultimo spettacolo “Aeneas”, presentato poi al Teatro Palladium con un ottimo successo di stampa e di pubblico. “Aeneas”, tratto dall’Eneide di Virgilio, appunto, “profugo per volere del fato”, come i ragazzi che raccoglie Angela tramite il passaparola, i più migranti per scelta dei loro genitori, mai cittadini in un paese che fa di tutto per non considerarli tali. «Ho a lungo riflettuto su come raccontare queste storie di integrazione (non voglio chiamarle di immigrazione, perché l’immigrazione è già avvenuta e ora vivono e lavorano nel nostro paese) – dice la regista – non volevo usare un narratore, come se queste persone non avessero una voce propria, allora ho messo la macchina da presa in mezzo a loro, non sopra di loro».
E allora, sotto l’occhio discreto della telecamera, si sviluppano, tra un ballo e l’altro, le storie dei ragazzi. Questioni di cuore, come tutti gli adolescenti del mondo, ma soprattutto l'urgente necessità di trovare un lavoro che permetta il rinnovo del permesso di soggiorno, la richiesta di cittadinanza, la necessità di una casa, il bisogno di un avvocato per chi si è messo nei guai, la voglia di partire in cerca di un futuro migliore che l’Italia non è in grado di assicurare neanche per i suoi figli prediletti.
«I ragazzi seguono un sogno, diventano ottimi danzatori, ma si rendono conto di essere un po’ meno uguali degli altri perché vivono una situazione di “diritti appesi” – spiega ancora Zazza – senza documenti in regola, la loro unica aspirazione diventa cercare un modo legale per rimanere nel Paese».
Come Farid, che ha seguito la sua personale epopea per giungere dall’Afghanistan a Roma e che medita di andare nel nord Europa perché in Italia non trova lavoro e dice che tra lui e quelli che dormono alla stazione «non c’è nessuna differenza...». C’è Sahel, che per un po’ abbandonerà il suo ruolo di Virgilio nello spettacolo per dedicarsi completamente al lavoro di mediatore culturale, ma poi tornerà a fare le prove e infine c’è Nando, italianissimo di origine capoverdiana che solo con il sostegno del gruppo si deciderà a inviare i documenti per ottenere la tanto desiderata cittadinanza.Perché è il gruppo che si attiva, che reagisce, che aiuta e che sostiene. Ed è il gruppo, con le sue dinamiche, il protagonista di questo documentario.
Su tutti vegliano Angela e Brancy, che risolvono problemi legali, di casa, di cuore, al ritmo urbano dell’hip-hop. «Oggi il privato si è sostituito alle istituzioni: Angela che vorrebbe solo fare un corpo di ballo, in realtà fa da mamma e sopperisce alle carenze dei servizi sociali e anche gli italiani del gruppo si mettono al fianco di chi ha più difficoltà creando una rete di salvataggio». Al sicuro ballando in quello scantinato mentre “sopra” c’è Roma, Capitale di uno Stato che gli immigrati nati in Italia vedono lontano, freddo e ostile. «“Termini Underground” – conclude la regista – vuole ritrarre le difficoltà delle seconde generazioni e richiamare lo spettatore alle sue