E' difficile e meraviglioso vivere in questa città

sabato 30 ottobre 2010

Hip-hop e integrazione nei sotterranei di Termini

di Luciana Ciminotutti ( L’Unità)

Sotto le luci scintillanti della stazione Termini, sotto i treni Freccia Rossa che promettono di collegare tutta l’Italia in un battibaleno, sotto i carrozzoni dei pendolari che si affannano veloci sulle banchine, sotto i suoi centri commerciali, più giù verso le metropolitane.
Ecco, sotto i labirintici binari della snodo ferroviario più importante del paese, c’è un teatrino, un ex dopolavoro ferroviario, nel quale Angela Cocozza da lezioni gratuite di danza e di vita ai giovani romani di tutto il mondo.
Un crocevia di culture che ha scelto la stazione come ritrovo naturale e l’hip-hop e la break-dance come espressione del corpo, come unica comunicazione con il resto del mondo, con il “sopra”. Angela e Brancy, ballerino nigeriano, non insegnano ai ragazzi che passano dai sotterranei solo i passi di danza, strappandoli a ben altre e pericolose strade, ma insegnano le regole della convivenza, della tolleranza, del rispetto reciproco e del lavoro offrendo opportunità di crescita e inserimento sociale.
Il 31 ottobre al Festival di Roma sarà presentato nella sezione “Alice nella città”, proprio un documentario su questa esperienza. Si chiama “Termini Underground” ed è stato pensato, diretto e prodotto dalla talentuosa regista Emilia Zazza. La macchina a mano, le luci e i suoni naturali sono il linguaggio scelto da Zazza per seguire i ragazzi in un modo il più possibile aderente alla realtà.
La telecamera non è mai invasiva, non ci sono interviste, ma scivola delicatamente sulle precarie esistenze dei protagonisti che dall’ottobre del 2009 al giugno del 2010 si esercitano nelle prove dell’ultimo spettacolo “Aeneas”, presentato poi al Teatro Palladium con un ottimo successo di stampa e di pubblico. “Aeneas”, tratto dall’Eneide di Virgilio, appunto, “profugo per volere del fato”, come i ragazzi che raccoglie Angela tramite il passaparola, i più migranti per scelta dei loro genitori, mai cittadini in un paese che fa di tutto per non considerarli tali. «Ho a lungo riflettuto su come raccontare queste storie di integrazione (non voglio chiamarle di immigrazione, perché l’immigrazione è già avvenuta e ora vivono e lavorano nel nostro paese) – dice la regista – non volevo usare un narratore, come se queste persone non avessero una voce propria, allora ho messo la macchina da presa in mezzo a loro, non sopra di loro».
E allora, sotto l’occhio discreto della telecamera, si sviluppano, tra un ballo e l’altro, le storie dei ragazzi. Questioni di cuore, come tutti gli adolescenti del mondo, ma soprattutto l'urgente necessità di trovare un lavoro che permetta il rinnovo del permesso di soggiorno, la richiesta di cittadinanza, la necessità di una casa, il bisogno di un avvocato per chi si è messo nei guai, la voglia di partire in cerca di un futuro migliore che l’Italia non è in grado di assicurare neanche per i suoi figli prediletti.
«I ragazzi seguono un sogno, diventano ottimi danzatori, ma si rendono conto di essere un po’ meno uguali degli altri perché vivono una situazione di “diritti appesi” – spiega ancora Zazza – senza documenti in regola, la loro unica aspirazione diventa cercare un modo legale per rimanere nel Paese».
Come Farid, che ha seguito la sua personale epopea per giungere dall’Afghanistan a Roma e che medita di andare nel nord Europa perché in Italia non trova lavoro e dice che tra lui e quelli che dormono alla stazione «non c’è nessuna differenza...». C’è Sahel, che per un po’ abbandonerà il suo ruolo di Virgilio nello spettacolo per dedicarsi completamente al lavoro di mediatore culturale, ma poi tornerà a fare le prove e infine c’è Nando, italianissimo di origine capoverdiana che solo con il sostegno del gruppo si deciderà a inviare i documenti per ottenere la tanto desiderata cittadinanza.Perché è il gruppo che si attiva, che reagisce, che aiuta e che sostiene. Ed è il gruppo, con le sue dinamiche, il protagonista di questo documentario.
Su tutti vegliano Angela e Brancy, che risolvono problemi legali, di casa, di cuore, al ritmo urbano dell’hip-hop. «Oggi il privato si è sostituito alle istituzioni: Angela che vorrebbe solo fare un corpo di ballo, in realtà fa da mamma e sopperisce alle carenze dei servizi sociali e anche gli italiani del gruppo si mettono al fianco di chi ha più difficoltà creando una rete di salvataggio». Al sicuro ballando in quello scantinato mentre “sopra” c’è Roma, Capitale di uno Stato che gli immigrati nati in Italia vedono lontano, freddo e ostile. «“Termini Underground” – conclude la regista – vuole ritrarre le difficoltà delle seconde generazioni e richiamare lo spettatore alle sue 

venerdì 29 ottobre 2010

Malagrotta al collasso

(Corriere della sera)La discarica di Malagrotta è praticamente al collasso. E dopo le 3 proroghe sollecitate e ottenute dalla giunta Veltroni, ora anche l'amministrazione Alemanno chiede alla Regione, per la seconda volta dal 2009, il rinvio della preventivata chiusura dell’impianto causa esaurimento degli spazi.
Mentre si studia un'alternativa - sei i possibili siti per un nuovo mega impianto vicino a Roma - si allarga la mappa delle emergenze ambientali. Discariche, inceneritori, gassificatori: l'attuale rete di smaltimento, pure insufficiente, è contestata in molte località del Lazio dai residenti. Non è Terzigno, ma la rabbia monta. E il Pd romano attacca: «Il Campidoglio non ha ancora neppure individuato il sito alternativo a Malagrotta».
Il sindaco replica: « Ci sarà una nuova e ultima proroga per la chiusura di Malagrotta» ma sarà definita «solo dopo che avremo individuato la nuova area». «Entro il mese di novembre diremo quale sarà la nuova area e quando funzionerà il nuovo impianto e quanto dovrà durare la nuova proroga per la chiusura di Malagrotta».
Cami0n dell'immondizia all'ingresso della discarica di Malagrotta NO ALL’INCENERITORE - Sulla collocazione di «Malagrotta Bis» circolano indiscrezioni: i luoghi sono elencati in una «mappa» depositata alla Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, che comprende Fiano, Allumiere, Guidonia e altri 2 siti, dentro i confini capitolini, lungo la Laurentina e l’Aurelia. Nessuno però vuole l’immondizia vicino casa.
Sabato 23 ottobre, la «prova generale» delle proteste ha portato in piazza ad Albano un corteo di 5 mila persone, sfilato lungo la via Appia ai Castelli Romani: i residenti non vogliono l’ inceneritore previsto dal piano regionale (sarebbero 9 quelli preventivati in tutto il Lazio). E rabbiosi rifiuti si stanno ripetendo un po’ ovunque, alimentati dalla preoccupazione di eventuali danni all’ambiente causati dall’arrivo degli impianti di stoccaggio e smaltimento dell’immondizia. E’ il caso di Lanuvio, ancora ai Castelli, dove giorni fa la polizia provinciale ha sequestrato una cava – aspramente contestata da chi vive nelle vicinanze - destinata a contenere rifiuti speciali.
All’audizione del 23 giugno, il sindaco di Roma ha lasciato ai parlamentari un documento che elenca sei posti che potrebbero ospitare il nuovo impianto di raccolta chiamato a sostituire Malagrotta. Il dossier, elaborato da tecnici capitolini in collaborazione con l’Ama, contiene una specie di «pagella» che vede al primo posto, con il giudizio di «idoneo», il nome di «Poggio la Piccionara», ad Allumiere. A pari merito, tutte con votazione di «parzialmente idonee», seguono le altre cinque località. Una - a Pian di Gallo - è ancora in zona Allumiere, la seconda - tenuta Fioretta - è a Fiano mentre le altre 3 sono state individuate nei confini dell’Urbe.
Sono tutte cave o ex cave in disuso - di argilla, tufo e pozzolana - localizzate a Procolo (a nord della via Aurelia, zona Castel di Guido), Monte Massa (nei pressi della Roma-Civitavecchia) e Porta Medaglia (tra l’Ardeatina e la Laurentina, XII municipio).
GUIDONIA PRONTA A BARRICATE - Nomi ai quali di recente si è aggiunta la discarica dell’Inviolata a Guidonia che già riceve una parte delle immondizie della Capitale e dove è già stata autorizzata la costruzione di un contestato impianto per il Trattamento meccanico biologico (Tmb) dei rifiuti. Un'ipotesi che ha suscitato le ire di Eligio Rubeis, sindaco del comune di Guidonia Montecelio, che si è detto «pronto alle barricate» per impedire che altra spazzatura romana finisca nel suo territorio.
IL PREFETTO: «SITUAZIONE DIFFICILE» - Che Malagrotta sia al limite del collasso è stato autorevolmente ripetuto più volte alla commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti che sta approfondendo il «caso Lazio». A giugno, il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha detto che «non siamo davanti a quello che è successo a Napoli, ma la situazione è difficile». Il rappresentante del Viminale ha parlato di una raccolta rifiuti indirizzata, nella Regione, per l’86 per cento - il dato è il più alto del centro Italia - nelle discariche. Che però, soprattutto nei pressi della Capitale (Malagrotta, Cecchina, Bracciano, Civitavecchia e Colleferro) «sono sull’orlo dell’ esaurimento».
Ancora più esplicito un rapporto dei carabinieri del Noe di Roma consegnato alla commissione d’inchiesta presieduta da Gaetano Pecorella. Malagrotta ha raggiunto «livelli di avanzata saturazione» mentre «analogo disagio» si registra negli altri 5 bacini della provincia di Roma, anche questi «prossimi» al riempimento definitivo. E se non bastasse, l'Arma sottolinea come, nel Lazio, la raccolta rifiuti sia dominata da «un oligopolio che non favorisce la concorrenza » e che «incide sui prezzi». Se non peggio: risale a pochi giorni fa l'arresto del presidente del consiglio comunale di Minturno, Romolo Del Balzo(che è anche consigliere della Regione Lazio) per una colossale truffa sui rifiuti.

Il declino della capitale

(La repubblica)
Cassonetti pieni e strade sporche
ecco la città della spazzatura

Cassonetti sempre pieni, marciapiedi diventati discariche a cielo aperto, flop della differenziata. Le promesse di Alemanno: "A fine 2008 avremo un sensibile miglioramento riguardo alla pulizia". Proteste di cittadini e associazioni: "L'Ama deve garantire standard adeguati"
Sporca. È l'aggettivo che con più facilità indica la Capitale per quanti, sia di notte che di giorno, passeggiano nelle strade del centro o della periferia. Senza distinzioni tra quartieri residenziali e non, l'immagine è sempre la stessa: cassonetti della spazzatura indifferenziata colmi di rifiuti non raccolti da giorni, sacchi abbandonati nei vicoli e persino vecchi elettrodomestici accatastati accanto ai secchi dei quartieri più periferici. Ogni zona, insomma, ha il suo angolo del degrado che in realtà spesso assomiglia ad una vera e propria zona franca del decoro e della pulizia.
In via Antonio Serra, quartiere Fleming, i rifiuti depositati nei cassonetti neri arrivano spesso a creare un cumulo di sporcizia che coprono persino la targa di marmo con il nome della strada. Evidentemente, il numero dei cassonetti non è sufficiente per la quantità di rifiuti gettati da residenti e attività commerciali e il passaggio dei camion dell'Ama dovrebbe forse essere più frequente. Analoga situazione in via Carlo Alberto, quartiere Esquilino, dove venerdì scorso dopo le ore 23 c'erano più di dieci scatoloni di cartone gettati accanto ai cassonetti e ricoperti da altrettanti sacchi di rifiuti abbandonati in mezzo alla strada. Scene di ordinario degrado notturno che si ripetono anche in via Bertoloni, quartiere Parioli, ma anche in pieno centro: in via Quattro Fontane e a pochi metri da piazza del Parlamento, ad esempio, i turisti di notte passeggiano tra sacchi dei rifiuti non raccolti.
Ma anche in pieno giorno la situazione è vergognosa. In via Caterina Usai, nel quartiere periferico di Ponte di Nona, c'è una vera e propria discarica a cielo aperto: accanto ai cassonetti verdi, infatti, sono stati abbandonati (e mai raccolti) divani e frigoriferi. In via Tiburtina, invece, i sacchi dei rifiuti costeggiano la carreggiata, così come in via dell'Acqua Vergine (zona CollatinaLa Rustica). Scatoloni ammucchiati tra i cassonetti e i marciapiedi, invece, sono la regola in via Val Chisone (quartiere Montesacro), dove i secchi della raccolta differenziata non vengono svuotati quotidianamente. di LAURA MARI

A Roma studenti con le mutande in testa

Scuola, cortei contro i tagli della Gelmini
A Roma studenti con le mutande in testa
                       
(Il Messaggero)ROMA (29 ottobre) - Nuova protesta dell'Unione degli studenti contro la riforma della scuola. Oggi manifestazioni e flash mob in varie città, tra cui Roma, Torino Palermo e Siena. A Lecce e Bari sono anche previste fiaccolate notturne che coinvolgeranno la cittadinanza.
A Roma usano l'arma dell'ironia gli studenti delle scuole medie e superiori per protestare contro la riforma Gelmini e i tagli alla scuola. Radunati a piazzale dei Partigiani per partire in corteo, destinazione il ministero della Pubblica istruzione a viale Trastevere, molti studenti oggi si sono presentati calzando mutande in testa. «Con i tagli hanno ridotto la scuola in mutande, vogliamo darne una dimostrazione pratica», dice un gruppo di studentesse in testa al corteo mentre si infilano degli slip sui capelli.
«Contro tagli e precarietà riprendiamoci il futuro», recita lo striscione che apre la manifestazione. Tra le studentesse molte hanno meno di 18 anni, tanti gli slogan nei cori che partono dai manifestanti che riecheggiano le ultime vicende che vedono protagonista il presidente del Consiglio con la minorenne Ruby. «Ho 17 anni, ma non mi farei mai comprare da un uomo di 75, nemmeno se fa il premier», dice una ragazza.
Il corteo è sfilato di fronte al ministero della Pubblica istruzione, a viale Trastevere. Un nutrito schieramento di uomini e mezzi delle forze dell'ordine presidia con un cordone le scale l'ingresso del ministro. Gli agenti sono schierati in modo da impedire i manifestanti si posizionino sulle rotaie del tram 8.
«Occupiamo viale Trastevere», l'annuncio partito dalla testa del corteo «contro un ministro che non vuole dialogare con noi e contro la sua riforma». A breve 

giovedì 28 ottobre 2010

La pensione dei morti

(La Stampa). Ritiravano la pensione dei morti
Truffa ai danni dello Stato. È questo il reato contestato dalla Procura della Repubblica di Roma alle 81 persone che, come emerge dalle indagini dei militari del II Gruppo Roma della Guardia di Finanza, hanno incassato per mesi o anni pensioni non dovute ed intestate a congiunti deceduti.
L’attività investigativa, coordinata dal Procuratore aggiunto Maria Anna Cordova della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, ha interessato diverse migliaia di pensioni erogate nella provincia di Roma; per ognuna delle posizioni è stata esaminata documentazione bancaria, fascicoli pensionistici, incroci con la banca dati del Comune di Roma e dell’Anagrafe Tributaria.
Le indagini, iniziate nel 2006 con il reato ipotizzato a carico di ignoti, si sono concluse con la denuncia di 81 persone per il reato di truffa ai danni dello Stato, contestando l’indebita percezione di diverse centinaia di migliaia di euro di cui l’Istituto Nazionale Previdenza Sociale ha immediatamente chiesto la restituzione. L’indagine delle Fiamme Gialle, ha avuto anche un notevole effetto deterrente: migliaia le posizioni pensionistiche sanate grazie all’autodenuncia dei truffatori, come comunicato anche dai funzionari Inps che hanno collaborato fornendo la documentazione pensionistica esaminata nel corso delle indagini.
I militari della Guardia di Finanza hanno riscontrato un articolato sistema truffaldino messo in piedi ai danni dell’Inps, che aveva fatto breccia nell’ente previdenziale, consentendo agli indagati di percepire somme di denaro, sia con gli accrediti sui conti correnti bancari e postali sia con la riscossione direttamente allo sportello, nonostante la morte di chi ne aveva diritto; in alcuni casi l’autentica delle firme dei defunti - che delegavano i parenti a ritirare i soldi - era avvenuta successivamente al decesso. L’attività delle Fiamme Gialle s’inquadra nel più ampio contesto dell’intensificazione dell’azione di contrasto per il contenimento della spesa pubblica disposta dal Comando Provinciale di Roma.

mercoledì 27 ottobre 2010

I residenti mandano all'aria due rave

(Il Tempo). Fermati i raduni sulla Casilina e a Tor Cervara. Denunciati gli organizzatori
Un rave party interrotto e un altro stroncato sul nascere.
In tutte e due i casi sono stati i residenti ad avvertire la polizia. Il primo raduno l'altra notte nell'ex stabilimento Romanazzi a Tor Cervara. All'1.30 il gran frastuono ha svegliato i residenti che hanno telefonato al 113. Gli agenti del Comissariato San Basilio diretto da Alfredo Lauro e sette equipaggi delle Volanti coordinati da Eugenio Ferraro hanno fatto irruzione nella struttura interrompendo la musica. A dar manforte all'operazione anche carabinieri e polizia municipale. Tre gli organizzatori - di 33, 20 e 21 anni - identificati e denunciati per invasione di edificio e disturbo alla quiete pubblica. L'altro blitz ieri pomeriggio in via Tullio, zona Casilina. Ancora una volta allertati dai residenti, i poliziotti coordinati da Antonio Pignataro e Guisa hanno fermato gli organizzatori che stavano preparando il sistema di amplificazione e il gruppo elettrogeno ad esso collegato. Quattro i giovani identificati dalla polizia. Anche loro denunciati per manifestazione non preavvisata e occupazione di suolo pubblico. Questi raduni giovanili spontanei a base di musica e droga sovente sono teatro di tragedie: ragazzi stroncati da overdose di stupefacenti o vittime di disgrazie causate dall'effetto delle droghe. L'ultimo episodio ha riguardato una romana di 22 anni che aveva partecipato a un rave a Fara in Sabina, nel Reatino. Diversi erano stati i ragazzi soccorsi dalle ambulanze del 118. La più grave però era risultata la romana trasportata in elicottero prima all'ospedale De Lellis di Rieti poi al San Camillo della capitale, ricoverata in coma farmacologico in seguito a un'overdose di ketamina. Anche un'altra ragazza di Roma di 25 anni era stata soccorsa e trasportata al policlinico Gemelli a rischio infarto in seguito all'assunzione di un mix di alcol e droghe.

Gianicolo, blitz di “My Trastevere”:bendate le statue contro tagli alla cultura

(Il Messaggero)                
ROMA (27 ottobre) - «Ore 7.30 del mattino. Il sole sorge sulla capitale ma c'è qualcuno che non può godersi le prime luci dell'alba. Sono i circa 80 busti del Gianicolo e le statue di Trilussa e di Giuseppe Gioachino Belli a Trastevere, bendati in un blitz di protesta. I primi testimoni involontari dell'iniziativa, alcuni appassionati di jogging mattutino. Presi dalla curiosità, gli spettatori hanno passato in rassegna i busti bendati studiando il messaggio lasciato al collo dei patrioti: una poesia dai versi ironici attribuita provocatoriamente al Trilussa a denuncia di una cultura scomparsa. Una sorta di petizione moderna». Così una nota di My Trastevere, il gruppo organizzatore del blitz.
«Sulla statua del poeta romano per eccellenza è riposto il messaggio originale dell'iniziativa, ripreso e commentato anche dal Belli sulla sua statua - prosegue il comunicato - Sono in molti a credere che si tratti di una protesta a seguito dei tagli che la cultura ha subito nell'ultimo anno coinvolgendo, oltre all'università e alla scuola, anche musica, cinema, teatro e centinaia di enti italiani. Per altri, invece, l'attack non è di matrice politica ma rispecchia l'esigenza di una denuncia sociale: gente intorno che strilla e fa bordello. L'argomenti? Sò er carcio e er Grande Fratello, guardo e penso: che fine ha fatto 'a curtura?' si legge, infatti, sul messaggio».
«Sulle bende nere che coprono i volti delle statue, la firma "My Trastevere", che da settimane circola per le strade della capitale legandosi ad attività sul territorio volte a riportare la cultura tra la gente - continua il comunicato - Prima la musica, due settimane fa a Piazza Trilussa, con l'incursione serale di una band che ha regalato un concerto alla folla presente ma lasciato un alone di mistero sull'iniziativa. Ora la protesta, e una prima bozza di manifesto culturale prende forma».

Disoccupazione a Roma

(Repubblica). Vola la disoccupazione a Roma,più donne e giovani senza lavoro.I dati allarmanti dell'ufficio statistico del Comune: la situazione è peggiore della media italiana.
di VALENTINA CONTE

Quasi 21mila romani in più alla ricerca di un lavoro nel 2009. Un balzo del 16,2% sul 2008, per un totale di 150mila persone, a Roma e in provincia, senza un impiego. Metà hanno perso il posto, l'altra metà sono gli ex-inattivi: giovani verso la prima occupazione ma soprattutto donne spinte a lasciare casa dalla necessità di sostenere redditi familiari troppo bassi. La febbre della crisi è ancora alta e l'exit strategy non a portata di mano.
Lo dicono i dati elaborati dall'ufficio statistico del Comune di Roma che saranno resi pubblici nel Rapporto sul mercato del lavoro 2009, pubblicazione annuale del Comune di cui per la verità si è persa traccia: un ritardo segnalato dagli operatori economici, visto che siamo in ottobre e che l'equivalente studio riferito al 2008 era uscito nel luglio dello scorso anno. Qualcuno tra coloro che usano il Rapporto come strumento di lavoro attribuisce il ritardo all'andamento non consolatorio delle cifre. Interpellato, l'ufficio statistico rivela che le copie sono appena andate in stampa ma non è prevista ancora la presentazione ufficiale.
I numeri non lasciano dubbi. Per la prima volta in un decennio scendono gli occupati di Roma e provincia. E la disoccupazione vola all'8,1%, quella femminile supera il 10%: il dato peggiore da molti anni, sopra la media italiana pari al 7,8% (il tasso del solo comune di Roma si ferma al 7,2%). Un contesto che pesa sulle alte specializzazioni (-12%, ovvero 32mila posti persi tra ricercatori, professionisti, informatici, manager). Nutre le fila degli "scoraggiati", che non lavorano e non cercano. E schiaccia i giovani della fascia 25-34, che passano da "atipici" a "inattivi" e che per il 72% ha laurea e master. Un'incidenza definita "preoccupante". Ad evitare il peggio, solo gli immigrati con 31 mila posti nuovi creati nel 2009 (+18,7% sul 2008).

Corviale

(AGENPARL) - Roma, 14 ott - "Venerdì 15 Ottobre presso la sala Gonzaga del Comando Generale Polizia Municipale in via della Consolazione 4, abbiamo organizzato un simposio sul futuro del complesso Corviale. “Corviale tra demolizione e trasformazione, un progetto nel rispetto di chi vi abita” offre due approcci differenti sui futuri interventi destinati a un edificio simbolo di certa architettura del passato". Lo comunica in una nota l'Associazione Gruppo Nuova Coscienza.
"Demolire in toto l’attuale insediamento per ricostruire un nuovo complesso secondo altri modelli insediativi, oppure operare con un intervento di recupero urbano che a partire dalla totale ristrutturazione del corpo di fabbrica principale (tipologica, impiantistica e strutturale) possa attivare un processo di riqualificazione dell’intera area del piano di zona. Su queste due ipotesi si confronteranno esperti, architetti e politici al fine di affrontare in modo oggettivo e a tutto tondo i termini del problema Concentrando l’attenzione dapprima sull’elemento architettonico principale, e in funzione della sostenibilità finanziaria dell’intervento, verrà proposta una veloce analisi rispetto ad aspetti ricorrenti nel dibattito Appaiono piuttosto scarsi i vantaggi e le opportunità che scaturirebbero dall’abbattimento completo del 'mostro', perché il complesso del Corviale esprime delle potenzialità e una ha in sé una ricchezza latente sulle quali si può puntare, e che è necessario far emergere attraverso strategie efficaci. Durante l’incontro verrà illustrato, a tal fine, il lavoro prodotto dal prof. Benedetto Todaro che dimostra come, assumendo ipotesi strategiche di intervento, la soluzione di operare una riqualificazione del corpo principale potrebbe essere realizzata a costo zero, facendo emergere quella latente 'ricchezza' presente nel complesso che potrebbe permettere di sostenere i costi di ristrutturazione e rendere il progetto in grado di 'auto finanziarsi'".

martedì 26 ottobre 2010

Diagnosi errata

Da Roma Today
Diagnosi errata: condannato medico e Bambino Gesù
La sentenza del Tribunale di Roma condanna l'ospedale pediatrico Bambino Gesù e il medico. Previsto un risarcimento di un milione e 600 mila euro per una diagnosi prenatale errata
Un milione e 600 mila euro: questa la cifra stabilita come risarcimento a una coppia di coniugi vittima di un errore diagnostico nell'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.
La vicenda risale al 1993 quando nacque il loro primogenito che, dopo pochi mesi mostrò una lunga serie di deficit psichici e motori e venne sottoposto a vari esami e accertamenti presso l'ospedale Bambino Gesù di Roma. La diagnosi dei medici fu ceroide lipofascinosi neuronale infantile, di cui madre e padre erano portatori sani.
I dottori però diedero speranza alla coppia, infatti, attraverso particolari esami molecolari avrebbero potuto tentare una nuova gravidanza e il bambino sarebbe potuto nascere sano. Il primo tentativo, nel 1996, andò male e la donna fu costretta a subire un aborto. Arriviamo al 1999, la villocentesi diede un risultato favorevole e a settembre nacque una bambina. A 18 mesi, però, anche lei mostrò i segni della gravissima malattia di cui era affetto il fratello, che nel frattempo morì.
Il tribunale di Roma ha condannato sia l'ospedale che il medico che eseguì l'esame molecolare. Per l'avv. Comini “è un risultato che almeno in parte risarcisce la coppia che in questi anni è stata costretta ad indebitarsi per far fronte alle costose terapie negli Usa per curare la figlia”.
I due coniugi, assistiti dagli avvocati Luigi Comini e Filippo Paolini del Foro di Lanciano, si sono infine rivolti alla giustizia che, con questa sentenza, gli ha dato ragione disponendo il risarcimento. La sentenza è stata emessa dal giudice Cecilia Bernardo, della seconda sezione civile del tribunale di Roma.

Nelle tombe del Verano

Roma, le "case" dei barboni nelle tombe del Verano - Da www.ogginotizie.com

All'interno del Verano, il cimitero monumentale di Roma, i vivi coabitavano con i morti e nessuno se ne era accorto fino a quando il Messaggero non lo ha scoperto. Nell'area più antica, quella con le tombe secolari, la più, appartata, la più deserta, il tramonto coincide con una grande trasformazione: stranieri, barboni e forse qualcuno che non vuole farsi trovare, sono già  dentro alla chiusura dei cancelli, o scavalcano i muri muniti di scalette dopo la chiusura. Le cappelle si illuminano, si animano, le tombe si trasformano in giacigli, le cappelle delle famiglie diventano ripostigli per sacchi di immondizia. Spuntano i materassi, sedie sdraio, borsoni e bottiglie di acqua e di birra. Dietro l'angolo, il 'peggio del peggio: escrementi umani, piatti di plastica buttati, una montagna di rifiuti. Il fetore è insopportabile. Non è stata risparmiata la parte storica del cimitero, con le tombe monumentali fatte a pezzi, le croci distrutte e gettate fra i rifiuti, bare sventrate, ossa di defunti oltraggiate, probabilmente derubati nella tomba. Dopo l'inchiesta del Messaggero sono arrivati lucchetti e catene di protezione. E arrivano anche le lampadine.

Morto per denutrizione

Morto per denutrizione a Regina Coeli
Sette indagati fra medici e infermieri
                        
di Martina Di Bernardino - Il Messaggero

ROMA (26 ottobre) - Un altro Stefano Cucchi, forse. Perché morire a trentadue anni, in carcere, dopo aver perso 30 chili nel giro di pochi mesi ricorda il drammatico copione di una storia tristemente nota. Questa volta a morire è stato Simone La Penna, un ragazzo che era in arresto per detenzione di stupefacenti. E dietro la sua morte assurda emergono ancora errori ed imperizie imputabili ad alcuni sanitari che avrebbero dovuto vigilare sulla sua salute.
E’ per questo che sotto il faro della Procura di Roma sono finiti adesso sette persone, tra medici ed infermieri del carcere di Regina Coeli, tutti indagati per omicidio colposo. Secondo gli inquirenti, alcuni di loro avrebbero scritto relazioni per il tribunale di Sorveglianza in cui attestavano che il giovane era compatibile con il regime carcerario. Altri non si sarebbero accorti che lentamente si stava spegnendo. Si chiamano Andrea F., Andrea S., Giuseppe T., Paolo P., Francesco P., Antonio C. e Domenico S. E in qualche modo sono chiamati in causa dalle 1800 pagine di relazione medica sulla morte di Simone La Penna firmata dai consulenti del pm Eugenio Albamonte. Che spiegano anche, scientificamente, le cause del decesso: arresto cardiaco provocato da uno squilibrio elettrolitico.
Era il 27 gennaio 2009 quando Simone venne trasferito dalla sua abitazione presso la casa circondariale di Viterbo, per detenzione di stupefacenti. Le sue condizioni erano buone, anche se negli anni passati, dal 2003 al 2005, il giovane romano era stato curato presso l’ospedale Sandro Pertini perché soffriva di anoressia.
Dopo un mese di detenzione, Simone La Penna iniziò a perdere velocemente peso; il vomito era ricorrente e le analisi indicavano degli squilibri nella presenza di potassio. Lo portarono nel reparto di medicina protetta dell’ospedale Belcolle di Viterbo dove grazie ad una terapia indovinata cominciò a dare segni di miglioramento. Ma non appena tornava in carcere, Simone ricominciava a vomitare e dimagrire, tanto che i consulenti del pm, nella relazione della Procura, parlano del sopraggiungere di uno stato di anoressia mentale.
E così a causa di un peggioramento delle sue condizioni, l’8 giugno del 2009 venne trasferito presso il reparto medico del carcere di Regina Coeli. Qui lo stato di denutrizione di Simone La Penna precipitò in un mese, tanto da essere ricoverato il 27 luglio all’ospedale Sandro Pertini, dove restò due giorni per ricevere una terapia mirata. Fino a che, il 26 novembre, esattamente un anno fa, alle 8 di mattina due infermieri del carcere di Regina Coeli si ritrovarono a praticare le operazioni di rianimazione sul corpo di Simone La Penna, che dopo dieci minuti morì. In quel momento pesava 49 chili; e oggi il pm Albamonte si prepara a chiedere conto della sua morte ai medici che avrebbero dovuto segnalare le sue condizioni fisiche e mentali e non lo fecero. E anche a quelli che gli prescrissero medicinali che potevano salvarlo senza poi verificare che gli venissero somministrati davvero.

Cucchi

La repubblica
Caso Cucchi, chiesto rinvio a giudizio
per medici, infermieri e agenti penitenziari
Due anni di reclusione per Claudio Marchiandi, direttore dell'ufficio dei detenuti e del trattamento del Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria e rinvio a giudizio per dodici persone coinvolte nell'inchiesta sulla morte del geometra di 31 anni. Le richieste del pm. Il papà di Stefano: "Chiederemo una perizia definitiva"
Una manifestazione in ricordo di Stefano Cucchi
Chiesto il rinvio a giudizio di 12 persone coinvolte, a vario titolo, nel processo per la morte di Stefano Cucchi, il geometra romano morto il 22 ottobre dello scorso anno all'ospedale Sandro Pertini, a sei giorni dal suo arresto. E' quanto formalizzato dai pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy al giudice dell'udienze preliminari, Rosalba Liso, nel corso dell'udienza, da oggi aperta anche ai giornalisti dopo la decisione favorevole del Gup alla richiesta formulata dalla Procura.
In particolare, i pm hanno chiesto il processo nei confronti di sei medici e tre infermieri dell'ospedale Pertini e di tre agenti penitenziari. Inoltre, per quanto riguarda un tredicesimo imputato, Claudio Marchiandi, (funzionario del Prap, il Provveditorato regionale amministrazione penitenziaria) che ha optato per il rito abbreviato, i pubblici ministeri hanno chiesto due anni di reclusione.
Lesioni aggravate, abuso di autorità nei confronti di un arrestato, falso ideologico, abuso d'ufficio, abbandono di persona incapace, rifiuti di atto d'ufficio, favoreggiamento e omissione di referto. Sono questi i reati contestati, a seconda della posizione processuale, alle 13 persone coinvolte nell'inchiesta.
Parlando per più di tre ore, il pubblico ministero ha ricostruito la vicenda, a cominciare dal 16 ottobre dello scorso anno quando Cucchi, ragioniere di 31 anni e arrestato la sera prima per possesso di stupefacenti dai carabinieri, fu portato in Tribunale e affidato alle guardie carcerarie per l'udienza di convalida dell'arresto. E' da questo momento, ha ricordato Barba, che ci sono le prime denunce di percosse fatte dall'imputato e confermate poi da un altro arrestato che con lui divideva la cella. Per quanto riguarda il pestaggio di Cucchi, Barba ha escluso che si possano accusare i carabinieri che lo ebbero in consegna dopo l'arresto. Il problema, secondo il pm, è sorto dopo la consegna del detenuto alle guardie carcerarie quando arrivò in Tribunale, a piazzale Clodio.
Barba ha poi ricordato i due ricoveri temporanei di Cucchi all'ospedale Fatebenefratelli intervallati dal suo ritorno a Regina Coeli e, quindi, il successivo trasporto al Sandro Pertini, parlando di evidenti inadempienze da parte del personale dell'ultimo nosocomio, dove il detenuto si è trovato isolato e in pessime condizioni di salute.
Intanto, la famiglia ribadisce l'intenzione di chiedere una perizia definitiva. Lo ricorda Giovanni Cucchi, papà di Stefano, che ha dichiarato: "Il lavoro fatto dai pubblici ministeri noi lo apprezziamo. Certo è che presenteremo alla prima udienza del processo la richiesta affinché venga effettuata una perizia definitiva per accertare le cause della morte di Stefano". Una richiesta mirata a fare chiarezza sulle incongruenze sottolineate dai famigliari di Stefano. "Ci sono elementi determinanti e chiari - ha aggiunto Giovanni - che a nostro parere indicano quel che è successo. Nella consulenza dei tecnici del pm non si legano i fatti l'uno all'altro. Non ci sono nessi causali, insomma. La frattura della vertebra L3 ha originato i problemi al midollo e la sostanziale immobilità".
"Bisogna ripartire dalla perizia - conclude il padre di Stefano Cucchi -  per valutare l'operato di chi è coinvolto in questa vicenda ed ha responsabilità nella morte di mio figlio".